Recensione: Weapon Of Choice
“Weapon Of Choice”: ovvero l’arma prediletta, quella che si preferisce scegliere prima di un combattimento… che sia un plettro, le bacchette della batteria o la vostra voce, questo non è solo un titolo ma è un inno alla libertà individuale e un invito a scegliere di fare quello che vi pare e piace.
Sono passati vent’anni da quel celebre video musicale diretto da Spike Jonze che spopolava su MTV, ma quando leggo questo titolo non posso evitare di pensare a quel Cristopher Walken, che buttato su una poltrona del Mariott Hotel di Los Angeles, con lo sguardo vuoto e rassegnato ben fisso davanti a sé, sembra fare pendant con la tappezzeria;
La musica che gradualmente si diffonde dalla piccola radiolina posta sopra ad un carrellino strabordante di asciugamani perfettamente lavati e stirati. La testa che si muove lievemente, prima a destra e poi a sinistra. Il modo in cui il ritmo lo conquista, lo fa alzare dalla sedia, ravvivando i suoi occhi e coinvolgendo tutto il suo corpo in uno sfrenato tip tap libero e spontaneo.
“There is only one way this can go / We are gonna’ dance to the songs we know / There is only one way this can go / Damn it feels so good to be alive” è lapalissiano e ce lo dicono loro nella prima punk-rock track: Barfight. I Carbellion ballano da soli, se ne fregano e perdinci va benissimo così! Che ballo convulso e che meravigliose movenze inusuali!
La loro arma però non assomiglia minimamente (tranne per il concetto espresso) al ragazzo grasso ma al contempo magro che aveva campionato il funky bassista Bootsy Collins.
I ragazzotti del Wisconsin, che nella loro carriera hanno performato live la bellezza di 400 volte affiancando anche Motorhead, Fu Manchiu e Black Stone Cherry, sono talmente anticonformisti che il loro genere se lo sono montato in autofficina, mettendo assieme dei vecchi pezzi arrugginiti di rock’n’roll e di metal per dare origine a una macchina vintage altamente inquinante targata HVYROCK.
Un’ auto che procede con una ritmica scoppiettante: merito l’ingaggio di Brent Nimz alle percussioni che ha un sound spesso e convincente, un basso (Steve Sheppard) sempre capace di farsi notare e aggiungere un bel suono “cicciotto” e delle schitarrate (Jamie Damrow) totalmente prive di inibizioni. Cameron Kallenberger ha una voce fatta apposta per il grunge ed emerge in “Jungle Song” o “Spaces”: brano che ben si presta ad esprimere il grezzo esperimento fatto su quei rottami di lamiera, che nessuno era disposto a sistemare.
Molto poetic-dark la lyric: “Beauty’s in the wreckage / Alive the most when chasing close to death / Falling further than before“.
I testi appaiono sempre molto complessi e degni di un’ analisi più completa, penso a “Weapon Of Choice” che esprime a pieno questo concetto di ribellione rispecchiando una visione reale e per questo totalmente destabilizzante e cruda – davanti alle continue manipolazioni dell’ informazione pubblica – della società: “This culture of against consumes us all / The signs of civil war come into view / A loss of common sense becomes the fuel / Extinction of reason their cabal”.
Nè vincitori né vinti in un’ epoca in cui tutti sono contro tutti, pronti a sparare ad un nemico invisibile, irreale (che poi l’unico nemico è dentro di sé, quando ci si consuma nell’ atto di odiare l’altro e annichilirlo). Più che un nemico, uno specchio che riflette la propria immagine.
I Carbellion ci hanno visto lungo e hanno messo assieme un terzo album che non solo riunisce tutto il materiale più forte e coeso della band, ma rimarrà immortale nel suo messaggio rivelatore.
In una società che vi richiede l’omologazione, i Carbellion vi propongono un giro su un mezzo non pienamente collaudato. Con i rischi (ma fanno parte del gioco) che esso comporta.
Questo album si rivolge ai pochi liberi pensatori rimasti, ai folli capaci ancora di divertirsi ed entusiasmarsi con una birra fredda in mano e una camicia di flanella a quadri.