Recensione: Carju Niebiesnyj
Lunga e frastagliata è l’intrecciata trama di fili dietro il nome dei Batushka. La band originaria si è divisa in due realtà distinte, e distinguibili oltre che dal padrone (Bartolomej da una parte e Krzysztof dall’altra), anche dall’etichetta della creatura di Bartolomej, la nota Metal Blade, e dalla differente dicitura presente nei prodotti ufficiali: in caratteri romani i Batushka “ufficiali” sotto etichetta, in cirillico quelli “ribelli” di Krzysztof .
Senza andare ad occuparci di beghe estranee al mondo del puro metallo suonato, oggi trattiamo Carju Niebiesnyj, nuovo EP dell’incarnazione “etichettata” della band, un titolo che allude senza troppi simbolismi allo Zar Nicola II Romanov, che troneggia sulla copertina dell’opera. Questo potrebbe far pensare ad uno spostamento di influenze se vogliamo, avvicinando magari il suono proposto a qualcosa di vagamente tendente alla terra di Vladimir Putin. Mai idea poteva essere più sbagliata: l’EP si apre con i soliti toni da messa nera tanto cari ai nostri polacchi, con un sussurro stile rosario che effettivamente genera un gradevole brivido lungo la schiena. La opener fa il suo dovere: pezzo gradevole, che non nasconde la sua natura introduttiva e rimane comunque apprezzabile. “Pismo II” però darà inizio a quella che sarà la sensazione dominante per tutto il lavoro. Ormai “Liturgiya” è un album datato 2015, e dopo svariati lavori da entrambe le compagini dal combattuto nome comune, ci si potrebbe aspettare per lo meno un allontanamento da uno stile che ha fatto le fortune di entrambi, ma comunque 6 anni fa ormai. Ci troviamo in una situazione in cui viene ripreso costantemente il concetto di musica ecclesiastica applicata al black metal, anche ora che (come detto in apertura) il concept alla base del lavoro poteva dare sicuramente spunti un minimo più originali, per lo meno per i canoni della band. Questo porta ad un costante senso di deja vu, che non rende l’EP sgradevole – anche in virtù del lavoro in fase di registrazione dell’etichetta –, ma che sicuramente elimina del tutto l’effetto dirompente che si ebbe agli esordi. “Pismo VI” è un esempio emblematico di questo problema: l’ennesimo tentativo di ricreare delle atmosfere che vorrebbero essere tetre e marziali, ma fanno pensare “piuttosto mi vado a riprendere il capolavoro”. L’opera comunque regala momenti sicuramente piacevoli; per esempio con “Pismo III”, dove guarda caso l’elemento liturgico viene solo accennato, lasciando spazio ad un black metal un po’ più canonico e trascinante.
L’ultimo prodotto dei Batushka “pettinati” è un lavoro forse troppo derivativo del gruppo che fu in origine, sicuramente un prodotto con un buon budget alle spalle, ma per vantare il possesso di un ipotetico trono serve molto di più, anche per lavori di meno di mezz’ora di durata.