Recensione: Carmina Diabolo
Welcome back to the seventies! La macchina del tempo che ci riporta dritti nello splendore del decennio rock per eccellenza non è una DeLorean DMC-12, bensì Carmina Diabolo, secondo lavoro in studio per il terzetto romano che risponde al nome di Black Rainbows. Dopo il debutto del 2007 intitolato Twilight In The Desert (giunto dopo due anni dalla nascita della band) ecco arrivare questi tre quarti d’ora di stoner rock che, come detto in apertura, puntano dritti agli anni ’70.
La francese Longfellow Deed Records sembra averci visto bene: i tre ci sanno fare e, nonostante una pletora di influenze ben riconoscibili, hanno sufficiente personalità per permettere alla propria musica di non risultare una copia sbiadita di quanto già proposto da altri.
Con alla base una sezione ritmica (composta dal duo Epifani/Conti) solida quanto un bunker antiatomico, Gabriele Fiori stampa dei riff granitici che escono dagli altoparlanti, ti avvolgono e ti fanno girare come dentro ad una tromba d’aria.
Il primo assaggio del sound roccioso che caratterizza l’intero Carmina Diabolo arriva dall’opener Himalaya, ed è subito un highlight, grazie ad un muro sonoro spesso e ruvido sul quale la stralunata voce di Fiori risulta a dir poco efficace. Sulle stesse coordinate si muovono Bulls & Bones e The Witch, mentre Under The Sun e In The City sono maggiormente orientate verso un hard rock datato ma che mantiene invariato il suo charme anche a distanza di decenni. Risulta apprezzabile, in questo senso, la scelta di una produzione vintage che, in linea con i contenuti del disco, contribuisce a conferire un fascino retrò a Carmina Diabolo. Il risultato finale è un sound oscuro, pesante, sferzato da riff di chitarra abrasivi e rocciosi che si avviluppano sui vorticosi ritmi dettati da basso e batteria. Il tutto, se non bastasse, immerso in salsa acida.
Sprazzi di psichedelia emergono dalla breve title track, tutta giocata sulla combinazione di chitarra acustica ed effetti synth; psichedelia che trova libero sfogo nella conclusiva e bellissima Space Kingdom. Si fanno apprezzare anche la cadenzata Babylon, la spirale sonora di What’s in Your Head e la splendida Return To Volturn, tra le migliori (se non la migliore) dell’album.
A disco finito, nonostante non ci sia bisogno di scendere dalla celeberrima DeLorean, si ha la sensazione di aver appena terminato un onirico viaggio nel tempo; sembra quasi di sentire echeggiare nell’aria il celebre dialogo:
Emmett “Doc” Brown: “Devi tornare indietro con me!”
Marty McFly: “Ma, indietro dove?”
Emmett “Doc” Brown: “Indietro nel futuro!”
e si torna al presente non senza voglia di fare un altro giro.
Grazie a Carmina Diabolo l’Italia dimostra di poter dire la sua anche in un genere (lo stoner) qui da noi poco diffuso; una scelta dettata dalla palese passione dei Black Rainbows per l’hard rock d’annata e per band quali Kyuss e Monster Magnet, senza dimenticare il rock psichedelico che, dagli indimenticabili Hawkwind in avanti, ha saputo infondere nuova linfa vitale al genere rock.
Potenzialità enormi, dunque, quelle dei tre ragazzi di Roma: se infatti già Carmina Diabolo è un gran bel disco li aspettiamo al varco per il capolavoro che è alla loro portata.
Discutine sul forum nel topic relativo
Tracklist:
01. Himalaya 4:29
02. Babylon 4:27
03. Under the Sun 3:53
04. What’s in Your Head 5:15
05. Bulls & Bones 3:08
06. Carmen Diablo 1:21
07. In the City 4:56
08. Return to Volturn 4:52
09. The Witch 4:54
10. Space Kingdom 7:37
Line-up:
Gabriele Fiori: vocals, guitar, keyboards
Dario Epifani: bass
Daniele Conti: drums