Recensione: Carnage
Tanta esperienza, per gli olandesi Burning Hatred.
Che si legge, anzitutto, nel pedigree dei musicisti: Marc Ouwendijk, chitarra, Condolence; Martin Brakert, chitarra, Anarchos; Rene Brugmans, voce, Abrupt Demise; Gerben Mol, batteria, Phlebotomized. Anche se, a tutti gli effetti, pur essendo nata nel 2002, la band giunge solo ora al debut-album, “Carnage”, susseguente a due demo (“Burning Hatred”, 2005; “Apocalypse of the Dead”, 2007) e un EP (“Unleashed”, 2011).
Il genere suonato, manco a dirlo preso atto di quanto sopra, l’old school death metal. In una forma assolutamente perfetta, rigidamente ancorata ai dettami di base che disegnano le linee- guida del genere stesso. Un rigore tale, che “Carnage” potrebbe essere tranquillamente preso come esempio per insegnare, all’Università del Metal, come si deve suonare l’old school.
Tutto bene, quindi? No. Poiché la suddetta forma è troppo, perfetta. A partire dall’opener ‘The Rawagede Massacre’ sino alla conclusiva ‘March Towards Death’ non c’è una nota fuori posto, in “Carnage”. Se da un lato, appunto, questo non può che onorare i Burning Hatred per via della loro dedizione alla causa, dall’altro riduce ai minimi termini la possibilità di sviluppare idee interessanti.
In ambito old school, ma come del resto altrove, ovunque, una volta stampato a chiare lettere lo stile, la bontà artistica di un’opera non può che valutarsi attraverso la disanima dei singoli pezzi che la costituiscono. E i Nostri, la foggia, l’hanno forgiata davvero con la massima attenzione e cura dei particolari. Ma in maniera, purtroppo per loro, del tutto scolastica. Prevedibile, scontata. Una tipologia musicale adulta, ferma nei propri stilemi, immutabile nella forma lungo il percorso dei brani. Come centinaia di altre, che predicano la stessa filosofica metallica.
Non solo, tornando alle canzoni, queste si srotolano lungo i quarantuno minuti di durata del platter senza infamia né lode. Anche loro, intrappolati nell’immobilismo stilistico più spinto. Privi del quid necessario a farli decollare, a farli diventare esplosivi. Sia nei lunghi passaggi scanditi dai mid e up-tempo (‘Carnage of War’), sia durante le violente accelerazioni dei blast-beats (‘Bedevilment’), serpeggia in agguato la noia.
Il monotono growling di Brugmans non fa certo bene all’economia generale del gruppo, ma nemmeno la coppia d’ascia Ouwendijk / Brakert incide più di tanto, con il suo riffing privo di mordente e aggressività. Senza macchia il motore ritmico, semplicemente adeguato, e nulla più.
Niente di nuovo sotto il sole, tirando le somme: i Burning Hatred e il loro “Carnage” possono andar bene per i super-appassionati del genere, ma nulla di più.
Daniele D’Adamo