Recensione: Carnage

Di Daniele D'Adamo - 5 Maggio 2018 - 10:44
Carnage
Band: Lik
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2018
Nazione:
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70

Lik = cadavere, in svedese.

Il che fa presagire l’assaggio di sfatto marciume nonché il toccare con mano l’odore acre della morte.

Una profezia che risulta esatta, poiché i Lik suonano puro death metal old school. Quello che, nella nazione scandinava, imperava, come semplice death metal, nei primi anni novanta; quando Dismember, Dissection, Entombed, Unleashed ed Entrails, giusto per citarne qualcuno, elaboravano i dettami di base di quello che, successivamente, avrebbe preso il nome di swedish death metal.

I Lik, nati a Stoccolma nel 2014, con il secondogenito full-length, “Carnage”, cercano di riesumare quei favolosi anni di fermento stilistico, cercando con ostinazione di operare un viaggio nel tempo onde fiutare di persona un sound che, grazie anche ad altre formazioni di oggi, è ben lungi da scivolare nel dimenticatoio.

Operazione che, si può dire, sia avvenuta con pieno successo: già solo con l’opener-track ‘To Kill’ si ha la sensazione di tornare là dove tutto è iniziato. “Carnage” è difatti un album solido e adulto, il quale ha in sé tutte, nessuna esclusa, le caratteristiche peculiari dell’old school death metal. Le chitarre, anzitutto. Perfetto il suono semi-zanzaroso che rappresenta l’elemento primigenio dello stile di cui trattasi. Sì, poiché è solo con tale approccio che il guitar-work assume i connotati di una lenta decomposizione post mortem; fornendo una piattaforma continua e costante, come se si stesse simulando il ronzio delle mosche e degli altri insetti intenti a consumare il loro lauto, orrido pasto. Il tonante rombombo del basso fornisce la corretta coesione al citato guitar-work, rendendolo compatto e massiccio anche in occasioni dei laceranti soli che, qua e là, scuotono l’etere. Ottimo il drumming, a volte ma nemmeno troppo sforante la barriera dei blast-beats, preciso e coerente anch’esso del rispetto delle regole del death metal vecchia scuola. Allora, mid-tempo e up-tempo a profusione, ma sempre con quel certo non so che di strascicato, di immondo rotolamento (‘Death Cult’). Svolge bene il suo compito pure Tomas Åkvik, cantante/chitarrista che propone delle linee vocali scevre da growling et similia, preferendo pertanto un approccio stentoreo derivante direttamente dal thrash. Quest’ultima circostanza che risulta corretta in tema di old school, almeno a parere di chi scrive.

Le song scivolano bene, oliate da una competenza sia tecnica sia artistica di primo piano, in grado di disegnare i contorni di uno stile senz’altro non originale, ma perlomeno immutabile al passare dei brani. I Lik provano a differenziare i vari pezzi e, bisogna dire, ci riescono abbastanza bene, regalando al disco una discreta longevità.

Disco che, in conclusione, pur non aggiungendo né togliendo niente a quanto già si conosce in materia, fornisce un ottimo baluardo per coloro che intendono tastare con mano un genere, il death metal old school, che è ancora ben lungi dall’andare in pensione.

Daniele dani66 D’Adamo

 

 

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