Recensione: Carnivore Sublime
Se “Asylum Cave” è stato il momento del tristemente noto Josef Fritzl, l’aberrante mostro di Sankt Polten, con il nuovo “Carnivore Sublime” i Benighted proseguono sull’onda dell’orrido occupandosi di cannibalismo. Un tema che segue, come tipologia, quello degli altri loro lavori, così giungendo senza indecisioni di sorta al traguardo del settimo full-length in quattordici anni di una consistente carriera.
Un abominio ogni due anni, insomma.
Oltre all’estremismo dei testi, infatti, i francesi si contraddistinguono per una proposta musicale violentissima, esagerata, annichilente. La tecnica strumentale posseduta da Adrien Guérin & soci è semplicemente enorme, e ciò consente loro di esprimersi ai massimi limiti della ferocia sonora con una pulizia di esecuzione impressionante. Anche nei momenti di totale asfissia, di trance da stordimento, di allucinazione ritmica, riesce – anche ai più – seguire con ‘facilità’ le inconcepibili sfuriate di una band cui davvero non paiono esserci confini capaci di intrappolarne la smisurata energia. Seppur sia ‘semplice’ discernere il lavoro compiuto dai componenti elementari (chitarra, basso, batteria) del loro sound, i Benighted macinano brani al contrario complicatissimi, sia a livello di composizione, sia a disegno strutturale.
Impossibile, per fare un esempio, trovare in “Carnivore Sublime” più di qualche secondo uguale a se stesso. L’inumana prestazione dello scellerato Kevin Foley, prima cosa, fa sì che il drumming sia tormentato come la vittima di una tortura medioevale: stop’n’go, blast-beats, accelerazioni, rallentamenti, tempi pari e dispari si rincorrono forsennatamente senza soluzione di continuità. Stordendo letteralmente l’ascoltatore, non lasciandogli materialmente il tempo di orientarsi sulla superficie di un muro di suono pazzesco. Del resto anche chitarre si adeguano anzi alimentano tale concezione musicale, sparando alla velocità della luce tonnellate di riff sempre diversi, sempre caleidoscopici, sempre mutevoli. Riff durissimi, devastanti, spesso elaborati su una matrice scolasticamente rimandabile all’hardcore per via della rapidità di esecuzione, del taglio lucente dal sapore metallico e dell’iterazione delle note portanti. A esse si aggiunge il cupo rimbombo del basso, relegato a motore ritmico e di accompagnamento ma non per ciò meno meritevole di menzione, giacché così facendo rende polposo e profondo un sound che, altrimenti – nel caso assumesse il ruolo di ‘terza chitarra’ – , sarebbe troppo secco, aspro e asciutto. Oltre tali talenti, però, si erge quello di Julien Truchan, vocalist capace di eccellere in tutti gli stili del metal estremo. Dallo screaming al growling nulla appare impossibile, per lui; specialmente l’inhale, talmente spinto e spostato oltre la linea umana da sembrare davvero, in tante, occasioni, un’emissione retaggio, solo, del sus scrofa domesticus.
Le asperità che, come il profilo longitudinale di una catena montuosa, contraddistinguono l’andamento armonico delle varie song rende le stesse assai complesse da inquadrare in un insieme organico e coerente; peraltro privo di spunti melodici che possano, in qualche modo, alleggerire il compito. Si tratta tuttavia di una sensazione che emerge durante il disorientamento dei primi ascolti del disco, poiché la bontà del songwriting emerge a poco a poco rendendo visibile e chiara la direzione intrapresa dal combo di Saint-Etienne. Una direzione rettilinea, dai contorni marcati e dall’inclinazione decisa, volta a condurre per mano l’uditorio verso il loro folle e morboso death, impossibile da inquadrare assieme a quello di qualsiasi altro ensemble che ne pratichi la causa.
Con “Asylum Cave” i Benighted sembravano aver raggiunto l’orizzonte degli eventi in termini di esasperazione musicale. Così non è: “Carnivore Sublime”, se possibile, va oltre. In più, in esso i transalpini non si sono dimenticati di apportare variabilità e imprevedibilità alla ricetta di base, che rischiava di diventare altrimenti insipida.
Fenomenali.
Daniele “dani66” D’Adamo
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