Recensione: Carpe Diem
A più di due anni dall’uscita di Virus, tornano sulla scena i francesi Heavenly con il loro quinto lavoro in studio, Carpe Diem. La band, dopo il cambio quasi totale di line-up prima della pubblicazione del disco precedente, aveva voluto dare una svolta al proprio sound, rendendolo decisamente più personale e leggermente meno veloce di quanto proposto fino ad allora. Nonostante il chiaro marchio di fabbrica di casa Heavenly fosse sempre in evidenza, quello che si aveva tra le mani era un prodotto di ottima qualità con tendenze verso il classico heavy metal, coadiuvato sempre da un contorno sinfonico di pregiata fattura.
Viste le premesse, quindi, l’aspettativa era di ritrovare le stesse caratteristiche anche nel nuovo album del quintetto transalpino: nulla di più errato. Infatti, Carpe Diem sembra fare mezzo passo indietro e torni alle sonorità potenti e forsennate che hanno reso celebre la band.
Le composizioni prendono spunto dalla prolifica scena power metal europea, quindi i punti di riferimento sono gruppi come Gamma Ray, Dragonforce o Edguy, e mescolano con saggezza la potenza della doppia cassa della batteria alla melodia delle orchestrazioni onnipresenti per tutta la durata del disco. Altro punto di forza è sicuramente la voce di Ben Sotto, mente e colonna portante del complesso: i brani che canta sembrano scritti apposta per esaltare le sue doti canore, anche se alla lunga il cantato in falsetto tende ad annoiare. C’è da dire però che la fantasia non manca: le tracce sono sempre molto varie ed eterogenee e non lasciano sensazioni di deja-vu tra loro. Il deja-vu, però, si ha ascoltando alcuni brani e paragonandoli a quelli di altre band famose, e in alcuni casi sembra quasi di avere a che fare con un tributo (o plagio?) talmente la somiglianza è vicina.
Il disco viene proposto con un artwork appariscente, con due fanciulle con abiti discinti raffiguranti probabilmente il bene e il male, pronte a scambiarsi un bacio saffico. Una bella copertina, anche se non del tutto in tema con il contenuti del CD.
L’apertura dell’album viene assegnata alla title-track Carpe Diem che, come nel precedente lavoro, esordisce con un possente riff di chitarra dal groove decisamente thrash, e si trasforma poi in una canzone piena di melodia e orchestrazioni e in alcuni frangenti sconfina addirittura su lidi AOR. Sicuramente una delle canzoni meglio riuscite di tutto l’album, a riprova della classe che i francesi non esitano a mettere in mostra.
Segue, Lost in your eyes, mid-tempo dal ritornello da cantare a gran voce, che fa da apripista a Farewell, una delle due tracce, insieme a A Better Me, che più di ogni altra ricordano per sonorità, incedere del brano, tonalità e persino effetti di chitarra, i brani scritti dai Queen. Di certo Ben Sotto non è Freddy Mercury, ma grazie a studiate note di pianoforte e falsetti acutissimi, ricrea perfettamente l’atmosfera magica con cui la band londinese tanto si è fatta amare negli anni ’80. Fullmoon, invece, è una canzone in crescendo che parte con una strofa cadenzata per arrivare al veloce e serrato ritornello che, come altri, entra in testa e per molto tempo non ne esce più.
Gli Heavenly non hanno mai nascosto tutta l’ammirazione che provano nei confronti dei Gamma Ray e l’influenza del gruppo di Amburgo si sente a più riprese per tutto il disco, ma in Ashen Paradise, secondo l’opinione di chi scrive, i francesi si sono fatti trascinare un po’ troppo dalla passione: l’inizio del brano è identico a Induction, introduzione di No World Order del 2001 targato Kai Hansen & Co. . Lo sviluppo del brano è decisamente originale, ma la prima parte sicuramente poteva essere arrangiata diversamente e fa si che l’idea che il quintetto transalpino sia uno dei tanti cloni della band teutonica si rafforzi parecchio. In Ode To Joy, canzone che riprende l’Inno alla Gioia tratto dalla Sinfonia n° 9 di Beethoven e gioca sulla melodia del brano in questione, rende la composizione allegra e divertente, ma anche qui il “già sentito” è nascosto dietro l’angolo: un orecchio ben allenato sicuramente riuscirà a rilevare la stretta somiglianza del ritornello con il chorus della ben più famosa Eagle Fly Free degli Helloween.
Nonostante tutte le somiglianze a brani più o meno famosi rilevate durante l’ascolto, questo Carpe Diem risulta essere un ottimo lavoro, sia per quanto riguarda le melodie in sé, sia per quanto riguarda la produzione, impeccabile sotto tutti i punti di vista. Il voto, che potrebbe essere decisamente più alto, immancabilmente perde qualche punto di fronte alla non troppa originalità e ai più o meno velati tributi. Chi si aspettava quindi una novità assoluta può tranquillamente passare oltre, ma gli appassionati del genere non si facciano sfuggire questa uscita perché una volta inserito il disco nel lettore difficilmente passerà la voglia di toglierlo.
Stefano “Elrond” Vianello
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Tracklist:
1. Carpe Diem (4:50) * MySpace *
2. Lost In Your Eyes (3:48) * MySpace *
3. Farewell (5:02)
4. Full Moon (4:57) * MySpace *
5. A Better Me (6:07) * MySpace *
6. Ashen Paradise (5:22)
7. The Face Of Truth (5:54)
8. Ode To Joy (4:52)
9. Save Our Souls (4:20) * MySpace *
10. Playtime (bonus Jap.) (3:16)
Line up:
Ben Sotto – Vocals
Charley Corbiaux – Guitar
Matthieu Plana – Bass
Olivier Lapauze – Guitar
Piwee – Drums