Recensione: Carthago Delenda Est
Quando mi capitano tra le mani certi album la prima domanda che mi sorge è: dove diavolo è finito il death metal vero? Quello che le stesse parole esprimono morte, degrado e quel desiderio morboso spaccare la faccia a chiunque tu abbia accanto. Cosa è accaduto al “death metal” negli ultimi decenni da spingersi così oltre che oramai ci si ritrova dinnanzi a cartelle cliniche, storie romanzate, album dei ricordi e History Channel? Fermi. Non iniziate a sbottare pensando “questo è prevenuto, il solito rosicone, recensore Italiano che due palle” e i classici clichè. Sono semplici domande che ognuno di noi, amanti, fans del death metal dovrebbe porsi ogni tanto per comprendere cosa è e cosa non è ciò che si sta ascoltando. Torneremo nel capitolo conclusivo per tirare le somme, ora andiamo al sodo.
Dicevamo, gli Ade che ci portano in dono il loro terzo album ufficiale, quel famoso terzo album che dovrebbe sancire definitivamente la bravura di un gruppo o scoraggiarlo definitivamente, teoricamente.Ciò che salta subito all’occhio è la line-up modificata che in a differenza di “Spartacus” non vede al suo interno George Kollias come guest, trovando “Commodvs” a finalizzare la formazione attraverso una line-up completamente italiana e stabile, seppur mutata ulteriormente nel 2015. “Flavio” non è più presente come vocalist e al suo posto troviamo il nuovo arrivato “Traianvs”; nuovo cantante, nuove possibilità compositore e aria fresca che entra nei polmoni e via discorrendo; ma il taglio musicale che i nostri da sempre hanno è pressoché immutato negli anni e vediamolo bene come.
Super-produzione, pompata e piena di effetti che non guastano mai, “triggerone” alla batteria e si parte, death metal sparato in faccia a mille con differenti tecnicismi che non portano mai il disco a diventare vero e proprio techincal, piuttosto la linea compositiva che la band cerca di seguire è quella leggermente filo Nile–iana con velature che riprendono sia il vecchio Swedish che la scuola di tampa con quel nome, Hate Eternal, che fa capolino qui e là. Ora, così sembrerebbe un po’ facile la storia, ma vogliamoci aggiungere come palese, l’aspetto teatrale e storico del disco per aumentare la potenza epica attraverso orchestrazioni ed effetti sonori che il gioco è fatto. Come dite? Abbiamo già gli Ex Deo (che quasi nessuno tollera più) a fare la stessa identica cosa, trattando proprio di Roma e le sue vicende, perché bisognerebbe dunque creare un copione di qualcosa che già di suo v’è necessità? Mistero della fede, così è se vi pare, ma di certo tirando le somme siamo ben consci che di innovazione non v’è molto alla base concettuale ma il disco di per sé ha molte frecce al suo arco, a differenza dei Canadesi, non lamentiamoci del brodo grasso. Molteplici passaggi riescono a fornire ottimi spunti d’interesse, costruendo canzoni solide che fondamentalmente non peccano sotto alcun fattore compositivo se non quello della maturità. Tracce accurate e dettagliate come ‘Arcross The Wolf’s Blood’, ‘Dark Days of Rome’ e ‘Zama, Where the Turks Are Buried’ mostrano la potenza e la tecnica della band, a differenza di alcuni passaggi ancora da migliorare. Devo citarli? Orsù le cose bisogna dirle senza timore per cui ‘Annibalem’ poteva essere strutturata meglio senza il fading conclusivo, gli elefanti all’inizio della successiva ‘With Tooth and Nail’, combinati con alcune soluzioni interne mostrano la volontà di testare nuove strade ma non mirate a pieno a causa di una leggera prevedibilità di alcuni tratti e concludo citando ‘Mare Nostrum’, che pare essere completamente decontestualizzata dal resto dei brani. Sia chiaro, questi sono dettagli, il bello e il brutto va a singolarità e feeling con il suono, lungi dal sottoscritto puntare il dito. Ribadiamo come di sostanza ne abbiamo, anche molta, serve solo maturare e trovare leggermente il bandolo della matassa perché la soluzione è dietro l’angolo, riuscendo in pochissimo tempo a finalizzare un percorso di caratterizzazione ancora da finalizzare. La punta della lingua, come si suol dire. Buona la produzione a livello complessivo che riesce a far sentire gli strumenti ottimamente uno ad uno e valida anche la voce del nuovo ‘Traianvs’, mai monolitica e sempre in cerca di caratterizzazioni utili all’economia finale dell’album.
Torniamo al discorso iniziale, dove la domanda principe era: “Dove diavolo è finito il death metal vero?” Bene, senza fare il Trve che non mi si addice, senza fare filippiche inutili possiamo dire che no, gli Ade non suonano vero death metal. Globalizzando il discorso per cui si può partire dai nostri centurioni ed ampliare lo spettro visivo notando come ad oggi, probabilmente si può semplicemente parlare di Musica Estrema, poiché nel Death, come in tutti gli altri sottogeneri v’è una speculazione oggettiva del vero significato che tale nome dovrebbe ricordare. Non tiriamola troppo per le lunghe e vediamo questo terzo album come una buona prova, certo non innovativa, sia concettualmente che musicalmente ma ascoltabile senza pregiudizi e senza remore; di una cosa possiamo stare sicuri, gli Ade battono gli Ex Deo a mani basse e se alcuni difetti vengono limati potremmo avere buone notizie nel prossimo futuro.
Domanda conclusiva, ma History Channel tratta ancora storia oppure fanno solo finte compravendite di container? Mi faccio una birra.