Recensione: Casting The Stones
Ventitre anni di storia, otto dischi in studio, la consapevolezza di essere un nome inciso a lettere di fuoco nella storia del metal, questo sono i Jag Panzer. Loro non hanno mai accettato compromessi, non si sono mai prestati alla luce dei riflettori, non hanno mai seguito un trend. Loro suonano heavy metal facendo affidamento solo sulla loro forza e si sono imposti a costo di sacrifici enormi, mostrando agli occhi di tutti i metallari cosa significa credere in questa musica, crederci per tutta la vita.
E’ assurdo quanto i Jag Panzer siano ancora relativamente sconosciuti alla grande parte dei metallari italiani, questa band merita la stessa gloria, gli stessi onori e le stesse attenzioni che riservate nei confronti dei ManOwaR, Judas Priest e Iron Maiden. Forse solo il loro carattere riservato, e una certa diffidenza nei confronti della vita da rock star, ha impedito loro di giungere a una notorietà simile a quella delle band più acclamate della scena. Da quando Mark Briody mi ha spedito il nuovo “Casting the stones” lo scorso luglio devo ammettere che nel mio lettore cd si sia scatenato un duello metallico tra i Jag Panzer e gli eccellenti Saxon freschi autori del colossale “Lionheart”. Il mio cuore però, come si trattasse di una mia vecchia compagna del liceo, ha finito per riscoprire il suo amore infinito per la voce esaltante di Harry Conklin. Non faccio mistero di aver sempre ritenuto il cantante dei Jag Panzer il migliore cantante della storia dello US metal. Una canzone come “Thane of Cowdor” può mostrarvi brevemente i motivi di questa mia convinzione e vi sfido a smentirmi. I Jag Panzer sono passati attraverso due decadi di storia del metal, hanno evoluto un sound personale ed identificabile, hanno saputo fondere la tecnica, l’attitudine e il gusto compositivo arrivando negli anni a produrre album semplicemente perfetti. “Casting the stones” continua la tradizione in maniera ineccepibile, ci sono degli aspetti innovativi in questo album ma al tempo stesso, come già accennato sul precedente “Mechanized warfare”, la band ha riscoperto il suo tocco oscuro, il suo fascino malvagio figlio degli anni ottanta americani. Durante la fine degli anni novanta i Jag Panzer abbracciarono in parte la causa del rinato power metal americano sfornando album come “The fourth judgement”, recentemente la band sembra essersi attestata su canoni decisamente più tradizionali, ortodossi e classici. Il nuovo “Casting the stones” è un lavoro spudoratamente classico, anzi sembra voler rileggere in maniera attuale la lezione impartita dalla band con gli iniziali “Tyrants” e “Ample destruction”.
La sezione ritmica della band americana è al centro del nuovo album. I Jag Panzer ormai possiedono da anni un suono corazzato, potentissimo e frontale. L’album presenta queste caratteristiche riuscendo ad integrare con grande concretezza l’energia dinamica del gruppo con l’elegante charm oscuro tipico del loro passato. Le chitarre sono convincenti lungo tutto lo svolgersi dei nuovi brani, il duo Briody – Broderick macina riff inarresstabili e taglienti come rasoi senza un attimo di sosta. I due chitarristi in questione hanno pensato maggiormente all’aspetto ritmico del loro strumento e sono riusciti a realizzare brani dinamici, fluidi e coinvolgenti. La produzione del disco non è difficile da descrivere, semplicemente la band ha cercato di mettere in risalto le sue caratteristiche migliori: voce, grinta e precisione. Non aspettatevi menate sinfoniche, intrusioni tecnologiche, i Jag Panzer per l’ottava volta hanno dimostrato come si possa suonare un grande album metal usando solo gli strumenti classici di questo genere. Sotto il profilo compositivo questo “Casting the stones” offre pezzi decisamente orientati al settore live. L’attitudine della band emerge nettamente ad ogni frangente del disco, questo forse è il miglior pregio del nuovo album, credo si tratti di uno dei lavori più ambiziosi e coinvolgenti della band americana. Anche i testi mi sono piaciuti, i Jag Panzer sono sempre stati molto attenti alle loro tematiche liriche. I temi del nuovo disco sono diversi, si passa da atmosfere belliche (da sempre care alla band) a narrazioni epiche dal forte valore artistico, la band mostra una cultura notevole e una grande passione per la lettura. Una menzione particolare la merita anche Mattias Noren, talento emergente dei famosi ProgArt Studios svedesi, autore della bella copertina di questo album.
La classe dei Jag Panzer è percepibile fin dalla prima “Feast or famine” una poderosa lezione di US metal dalle tinte oscure e raffinate, la struttura del pezzo è fluida e dinamica, le linee vocali sovrastano magistralmente l’architettura ritmica delle strofe per poi esplodere in un ritmrnello trascinante. L’epicità di “The mission 1943” introduce l’ascoltatore nel mood bellico del pezzo, in questo caso le chitarre si rivelano molto veloci e relativamente dirette in modo da colpire nel segno fin dal primo ascolto. Mi aspettavo una citazione, o un tributo musicale al genio di Chuck Schuldiner, la terza “The vigilant” sembra uscita dalle sessioni del primo album dei Control Denied, le chitarre soliste hanno lo stesso stile del compianto chitarrista dei Death. Si torna all’epic americano con la bellissima “Achilles” dove i Jag Panzer sfoderano la loro esperienza riallacciandosi al loro glorioso passato, la voce di Harry Conklin esplode nei ritornelli dando al brano un carisma potentissimo. L’ambizione compositiva del gruppo ha portato alla realizzazione di una canzone geniale come “The tempest”, differenti anime si fondono in questo brano, le ritmiche oscure e avvolgenti vengono separate da ispiratissimi stacchi acustici per poi ripartire nei refrain vocali, una prova magistrale. Buia come la notte “Legion immortal” mi ha rimandato al concept dedicato al Conte di Cowdor di William Shakespeare, i cori hanno un qualcosa di spettrale in questo brano. Più semplice e diretta “Cold” è forse il brano più diretto del disco e promette grandi responsi in sede live. Con “Starlight’s fury” i Jag Panzer compongono uno dei pezzi più belli della loro carriera, non saprei descrivervi il pezzo in poche parole, comunque le scelte della band americana sono al limite del metal classico, quasi nel progressive. Il tocco freddo della sezione ritmica della band si percepisce nettamente nella successiva “The Harkening” un nuovo esempio di stile compositivo da parte di questi americani, il brano è cambievole, seguendo il trade mark del disco, ma rispetto alle tracce precedenti viene accentuato l’impatto malvagio degli arrangiamenti. In conclusione i Jag Panzer riservano ai loro amanti la bellissima “Precipice” che unisce l’heavy metal classico della band e ottime contaminazioni orientali, con strumenti tradizionali, una bella prova di stile e di ricerca sonora che non mette in discussione le radici integerrime della band. Un disco magnifico ragazzi.
1. Feast Or Famine 04:14
2. The Mission (1943) 04:08
3. Vigilant 05:03
4. Achilles 02:45
5. Temptest 04:40
6. Legion Immortal 04:30
7. Battered & Bruised 04:46
8. Cold 03:26
9. Starlight’s Fury 06:17
10. The Harkening 04:44
11. Precipice 06:25