Recensione: Catharsis
Quante volte ci siamo autoconvinti, spesso a forza, che per creare un qualcosa che sia anche solo vagamente vincente nel post-2010 questo debba essere per forza di cose originale? Magari con un songwriting sempre vario, a livelli perennemente sospesi tra l’estasi del sogno e la totale voglia di non rifugiarsi entro i confini di quelli che oggi sono ritenuti i luoghi comuni della musica?
Bene, dimenticatevi tutto, almeno per questa volta.
Sì, perchè gli Incarceration, terzetto dall’asse brasiliano/tedesco (ma ormai totalmente teutonico per via del trasferimento permanente del frontman in terra tedesca) ormai tra i nomi di punta dell’underground, al debut-album suonano come un rozzo outsider che vince sul terreno altrui spezzando ogni regola per cui quel terreno è stato fondato: una base fortemente Asphyx-oriented con tanto di timbro vocale per certi versi molto simile a quello del divino VanDrunen, strutture fortemente old-school e riffing efficaci ma, in tutta onestà, mai originali.
Eppure siamo al cospetto di un album che ti conquista proprio per la sua sfrontatezza, per l’energia pazzesca riversata su disco, tutte quelle cose che ci hanno fatto amare il più rozzo metal estremo di prima maniera, nell’età dell’oro: il riffing stesso spesso pecca di ripetizioni, idem il songwriting, ma non ci fai caso.
Dopo un breve brano introduttivo dalla fattura piuttosto standard, eccoci giunti allo scoccare di ‘Evoking The Possession’, brano diffuso in rete già da qualche mese che aveva già fatto intuire le grandi potenzialità del combo nei confronti degli amanti dell’old school più rozza e sfrontata: neanche due minuti di tempo, per far capire come sia possibile scatenare l’inferno in musica senza correre dietro a freddi tecnicismi o chissà cos’altro nel mondo delle sette note in salsa estrema. E, passati quei due minuti scarsi, capisci che gli Incarceration sono riusciti nell’intento di dire molte più cose rispetto a chi crede che, per essere efficaci ogggiorno, sia necessario elaborare il proprio fraseggio artistico con strutture complicate o chissà quali liriche anomale.
Un riff, massimo due, si parte e si arriva fino alla fine: questo era il death più rozzo degli albori, questi sono gli Incarceration oggi.
Se la cosa vi lascia confusi e disorientati, allora sappiate che potete cambiare registro, mentre tutti gli altri non potranno che rimanerne disgustosamente affascinati.
In 29 minuti e 59 secondi (….ebbene sì, tale è la durata complessiva misurata dal mio lettore!) ecco che tutta la furia assassina del trio si riversa in dieci pezzi complessivi in cui, salvo i tre brevi strumentali, respirare è un pregio concesso solo ai più temerari: tra sfuriate mid-tempo invasate del più basiliare ma efficace thrash metal ed accellerazioni assassine quasi prossime al blast-beat, “Catharsis” pullula di momenti da cardiopalma dall’inizio alla fine, candindandosi come quella che, nel 2016, è l’uscita più adatta ad essere etichettata come il classico disco che infili nel lettore mentre sei incazzato col Mondo.
Ed infatti noi ascoltatori abbiamo anche bisogno di questo, mai negare verso se stessi la semplice efficacia dell’essere diretti e senza fronzoli: contornando il tutto con una produzione non eccessivamente compressa e naturale al giusto, ecco servito su un piatto bollente una garanzia assicurata per la vostra personale vendetta infernale. 29 minuti e 59 secondi come già detto: come se i Nostri si fossero imposti di condensare obbligatoriamente tutta la loro passione viscerale per queste sonorità obbligatoriamente entro mezz’ora di vita, ma sfuttando anche allo stesso tempo la cosa al massimo possibile, godendone fino all’ultimo secondo disponibile….ed in tal senso, assaporare l’ultimo passo finale, qui intitolato ‘Into The Blackest Void’ (davvero uno dei brani migliori del disco), è davvero come intraprendere una discesa improvvisa nel vuoto più nero e profondo, segno che la ‘Catarsi’ è racchiusa nell’esaltazione di certi abissi sconfinati in cui nessuna anima precipitata dentro di essi riuscirà mai a capire se questi abbiano o meno una fine. Poco importa, perchè rimanere sospesi nel vuoto eterno è esattamente come annullarsi, come morire. Signore e signori, ecco a voi l’essenza del Death Metal. Il Metallo della Morte, appunto.
Insomma, un disco ed un ensemble verso cui la parola ‘Originalità’ pare suscitare la più totale indifferenza, votando tutta la propria sostanza all’essenza più pura ed immortale delle sonorità estreme. Un 8 pieno, celebrando così lo spirito di questi ragazzi talmente onesti e sfacciati da volersi mostrare per così come sono, difetti compresi. Perchè nessuno è perfetto, solo che loro almeno non mentono, mica ti prendono per il cu*o mascherandosi dietro chissà cosa.
E personalmente mi sbilancio in tal senso, perchè adoro questo genere di attitudine: avanti così.
Rispetto.