Recensione: Celestial lands
Dalla terra di Robin Hood arrivano i Wolvencrown, band inglese fondata nel 2015 che propone un black metal atmosferico di stampo europeo, con sonorità ben diverse da quelle cupe, tipiche del genere, e che affonda le radici nell’Europa continentale, toccando tematiche che negli ultimi anni sono diventate di dominio pubblico come quelle green.
Celestial lands è il secondo disco, a distanza di 5 anni da Of Bark and Ash ed è composto da brani che i Wolvencrown hanno già iniziato a suonare nelle loro esibizioni live nel 2022. L’artwork è un’esaltazione della natura, con un meraviglioso paesaggio montuoso in primo piano, con delle cascate che danno su un lago, in basso, un cavaliere con una torcia in mano ammira questo panorama uscendo da un bosco: una bella rappresentazione che dà idea del rapporto della band con l’ambiente.
Il disco si compone di otto tracce, per un totale di quasi sessanta minuti di musica, con brani che hanno una discreta durata per gli standard del genere – raramente scendiamo sotto gli otto minuti. Il disco è molto omogeneo: ampio uso delle tastiere, che danno un taglio più medievale al disco, e delle chitarre pulite ma allo stesso tempo affilate, che non rinunciano al tremolo; la batteria danza tra i ritmi medi e veloci, mentre la voce, profonda e dannata, talvolta sfiora vette di epicità inedite per il genere.
Si parte con Prelude, un soave passaggio che ci conduce immediatamente a A Once Rational Time, dal sound molto epico. A Spell Nature Cast è introdotta da un motivo che ci riporta al XVIII secolo, attorno al quale si costruisce una meravigliosa armonia che palesa ancor di più le capacità compositive dei chitarristi e che tocca il suo apice nell’assolo. Angered Spirits Leave the Wilderness è più aspra e ruvida dei precedenti brani: un serrato blast beat, chitarre più decise e growl più profondo, sono gli aspetti determinanti della quarta traccia. Interlude spezza il disco e ci conduce alla seconda parte dello stesso che inizia con due brani molto oscuri come The Path of Life, molto orecchiabile con un pregevole groove, e Until the end, più lento, ma dalle cadenze più profonde e introspettive, quasi a graffiare l’anima. Chiude la title track, un viaggio a ritroso per tutto l’album ripercorrendone tutte le sfumature e le sonorità: il tremolo pulito, la voce profonda e malinconica, le atmosfere cupe e, l’aspra cavalcata della batteria e, sullo sfondo, quel meraviglio senso di magnitudine.
Celestial lands è, nel complesso, un ottimo lavoro, suonato molto bene, e che riesce ad evidenziare le capacità di ogni singolo musicista riuscendo a ritagliarsi uno spazio proprio; ha, inoltre, il grande pregio di colpire già dal primo ascolto, rendendo piacevole anche un successivo passaggio per via anche dell’estrema omogeneità che lo caratterizza. Merita sicuramente un ascolto attento e oculato per approfondire questo nuovo modo di intendere il genere.
Atmospheric green metal.