Recensione: Celestial Violence
Uscito lo scorso maggio per Sleaszy Rider Records, “Celestial Violence” è il sesto album dei friulani Revoltons. Ve ne avevamo già parlato a inizio anno, nello studio report che potete trovare cliccando qui. È passato qualche mese da quello studio report e, adesso, abbiamo la possibilità di entrare nel dettaglio del disco e poter quindi verificare se quanto di buono avevamo riscontrato a febbraio possa trovare conferma con “Celestial Violence” in nostro possesso, dopo ripetuti ascolti.
Beh, la nuova fatica dei Revoltons non solo conferma le impressioni ricevute dalla presentazione in studio, si spinge addirittura oltre. Sì, perché “Celestial Violence” è il frutto di una band in forma strepitosa, il cui songwriting appare ispirato come mai prima. L’album, infatti, si rivela carico di pathos, in cui possiamo respirare le emozioni vissute durante gli anni della pandemia da Covid-19, pandemia a cui si ispira il concept che sta alla base del disco (che trovate ben descritto nello studio report, n.d.a.). Come avevamo accennato nell’articolo di febbraio, con “Celestial Violence” i Revoltons sollevano il piede dall’acceleratore e danno vita a delle composizioni che sanno sì di heavy metal, ma in cui a dominare è il lato emozionale, rilasciando un lavoro che, ascolto dopo ascolto, si fa scoprire a piccole dosi, rivelando finezze, scelte melodiche e armonizzazioni passate inosservate in precedenza. L’album ruota attorno al lavoro delle due asce di Alex Corona e Carlo Venuti, che sembrano suonare assieme da una vita, quando invece questo è il primo disco che li vede l’uno a fianco dell’altro. I due sfoggiano ritmiche serrate, pregevoli aperture melodiche e una solistica da urlo. Le chitarre, poi, vengono valorizzate da una prestazione maiuscola di Elvis Ortolan alla batteria, che dona dinamica alle varie composizioni, oltre a inserire dei giusti accenti che mettono in risalto i fraseggi del duo Corona-Venuti. Ottima la prova di Simone Sut al basso, capace di creare un autentico muro di suono. L’osservato speciale, però, era il nuovo cantante, Antonio Boscari. Lo avevamo conosciuto come voce di alcuni gruppi friulani, dove ci aveva convinto nel suo registro più alto, un po’ meno nelle parti medie. Beh, con i Revoltons Boscari sembra aver trovato il suo habitat perfetto, una band che gli permette di sfoggiare tutto il suo talento, offrendo una prestazione calda ed espressiva, oltre che convincete sotto ogni punto di vista.
Quanto appena descritto viene perfettamente tradotto in musica dall’energica ‘Escape or Drown’, autentica mazzata posta in apertura d’album, o dalla melodica ‘Cosmic Disabled’, destinata ad avere un posto fisso nelle future scalette live del combo friulano. Impossibile non citare l’oscura ‘The Darkfall’, che sa di Paradise Lost fino al midollo, la serrata ‘Low Ranking Businessman’, uno dei pezzi più ispirati mai concepiti dalla penna di Alex Corona, e la splendida ‘Nany John Skennon’, forse l’assoluto highlight del disco.
Dall’ascolto di “Celestial Violence”, inoltre, emerge un’attenzione maniacale per ogni minimo particolare, a cominciare dalla produzione, potente e cristallina. Ma è soprattutto il songwriting a giovare di questa cura per il dettaglio. Sì, perché le complessità che da sempre fanno parte del Revoltons sound, in “Celestial Violence” si fanno apprezzare senza appesantire l’ascolto, anzi, potremo scoprirle un po’ alla volta, come sottolineato in precedenza. Un qualcosa che risulta possibile grazie alla ricerca della melodia più azzeccata, oltre a una grande maturità compositiva. E proprio la maturità compositiva risulta l’aspetto più importante nell’economia di “Celestial Violence”, donando al disco la possibilità di superare la prova del tempo. “Celestial Violence”, insomma, si rivela come uno dei dischi più ispirati mai realizzati dai Revoltons, capace di toccare le vette che la formazione friulana aveva raggiunto con lo splendido “Underwater Bells”, nel 2009. La speranza è che i Revoltons possano trovare una definitiva stabilità in formazione, proseguendo con l’attuale quintetto, forse la line-up più affiatata e unita mai avuta dalla compagine pordenonese. Avanti così, Revoltons. La strada è quella giusta.
Marco Donè