Recensione: Challenge the Wind
Terzo capitolo per la “Nephilim Saga” dei Rhapsody of Fire, terzo full-length di inediti per la band triestina da quando Giacomo Voli presidia il microfono: il nuovo album “Challenge the Wind” esce sul mercato in questo vivace 2024 per la scena power, con il ritorno sulle scene della band capitanata dal fondatore Alex Staropoli e dal chitarrista Roby De Micheli. Chiude la formazione la sezione ritmica composta da Alessandro Sala, al basso dai tempi di “Into the Legend” (2016), e dal batterista Paolo Marchesich, in squadra dal precedente “Glory for Salvation” (2021), disco dal quale esce immutata, in una lineup composta esclusivamente da musicisti italiani. Il platter, possiamo dirlo subito, si candida come il più aggressivo e diretto della storia del gruppo, un lavoro senza fronzoli, in linea con quanto proposto dal nuovo corso della band sin dallo split con Luca Turilli, con un’iniezione di metallo pesante e meno scampagnate nella foresta tra elfi e nani. I Rhapsody of Fire si confermano anche una forza inarrestabile sul palco, con un’attività live sempre apprezzata anche oltre i confini nazionali.
Il disco narra delle vicende tra il protagonista Kreel e la sua nemesi Bezrael, sangue del suo sangue, e segna il ritorno del leggendario Therial the Hawk, come illustrato in copertina. Una storia che, lo anticipiamo subito, non giunge qui a compimento lasciando il finale aperto a nuovi episodi.
Dal punto di vista tecnico ed esecutivo, il lavoro dei nostri è impeccabile. Menzione d’onore per Roby De Micheli, in grado di sfornare riff e solos neoclassici estremamente precisi e raffinati, capaci ancora di emozionare tutti gli (e le) shreedder là fuori. Ottima anche la prova di Giacomo Voli, che con la sua voce su registri acutissimi si conferma tra i più interessanti interpreti della scena tricolore contemporanea. Più di mestiere il lavoro di Staropoli con le sue tastiere ad arricchire armonicamente i brani, sempre supportato dal lavoro muscolare della doppia cassa di Marchesich che non lascia un attimo di tregua. Una descrizione, quest’ultima, che si attaglia bene già dalla opener e titlatrack “Challenge the Wind”, che senza nemmeno un nanosecondo di introduzione ci getta con forza nella mischia in un brano che potrebbe ricordare “Dawn of Victory”. Tra i brani più interessanti, segnaliamo il singolo “Kreel’s Magic Staff”, probabilmente il miglior episodio del lotto, che sembra rilucere della magia che ci aspettiamo dai Rhapsody of Fire, così come la successiva “Diamond Claws”, in grado di unire velocità e lirismo con le tastiere incalzanti di Staropoli e un’interpretazione intensa di Voli, così come la positiva “A Brave new Hope”, che sulla tira sulla doppia cassa un ritornello positivo e raggiante.
Nonostante il lavoro certosino dei nostri in composizioni elaborate e complesse, l’impressione, col procedere degli ascolti, è che non tutto abbia funzionato alla perfezione. In primo luogo, con problemini di produzione: il missaggio di Seeb Levermann (Orden Ogan) sembra penalizzare in alcuni passaggi le chitarre, così come la voce solista di Voli spesso non viene valorizzata appieno, con le tastiere sempre in primo piano. Ma il peggior difetto di un lavoro pur di buon livello, è il songwriting. In “Challenge the Wind” l’impressione è che il tutto sia inferiore alla somma delle parti, che l’insieme non regga il confronto delle singole prove. Questo a causa di una scrittura che raramente emoziona, con ritornelli poco efficaci e mai davvero epici, l’assenza quasi assoluta di momenti di respiro come una ballata, o più semplicemente con passaggi più ariosi (nonostante qualche sporadica comparsa del flauto di Manuel Staropoli) in grado di generare la tensione con dei “crescendo” emozionali che sono sempre stati marchio di fabbrica della band.
Altra lacuna, a mio modesto avviso, la gestione della suite “Vanquished By Shadows”, pezzo dal potenziale enorme con una prova sopraffina di Voli anche in growl: premesso che un brano da 16 minuti dopo tre pezzi da 5 minuti risulta molto pesante per l’ascoltatore contemporaneo, che senso ha presentare un unico brano in più movimenti quando poi alla fine del disco, in decima posizione viene riproposta la medesima parte centrale ri-titolata “Mastered By The Dark”? A questo punto tanto valeva presentare i vari movimenti sotto forma di più brani, oppure si sarebbe potuta presentare una suite più organica che (come spesso accaduto nella storia della band) traesse forza proprio dall’alternanza di situazioni, senza tirare troppo alcuni passaggi.
In sintesi, “Challenge the Wind” è un lavoro che saprà ricevere gli apprezzamenti dei Rhapsody più duri e muscolari, quelli di “Dawn of Victory” e “Power of the Dragonflame”, pur non riuscendo a raggiungerne i fasti e la complessità. Un disco che seppur eseguito in maniera impeccabile dalla band triestina, con un’ottima prova in particolare di Giacomo Voli e Roberto De Micheli, non sempre riesce a colpire nel segno, come un party troppo orientato allo scontro fisico in cui manca la magia, sospeso nello scontro finale non ancora concluso tra l’eroe Kreel ed il suo oscuro rivale Bezrael di cui attendiamo trepidamente gli esiti.
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Luca “Montsteen” Montini