Recensione: Chameleon
Considerato da molti il disco della discordia, Chameleon ha segnato in qualche modo la vita artistica degli Helloween, venendo più volte rinnegato dai suoi stessi compositori, nonché pesantemente attaccato da una larga fetta di critica. Aggiungiamo anche che Chameleon non ha avuto il successo commerciale dei “Keeper…”, e sinceramente non credo ci si potesse permettere un altro passo falso (economicamente parlando) dopo il flop di “Pink Bubbles Go Ape”.
Il disco risente molto della vena compositiva di Michael Kiske, opinione confermata dai suoi album da solista, ma c’è da dire che tutta la band aveva chiaramente in testa una certa voglia di sperimentazione. Per molti il tutto si è risolto con la bocciatura dell’album perché non seguiva gli stilemi classici di un disco metal (plettrata alternata, chitarre distorte e tirate, doppia cassa serrata, ecc.), ma va detto che all’epoca era più che chiaro che non sarebbe stato un “Keeper 3″…
Evidentemente i fan si sentirono “traditi” da questa scelta stilistica, e mostrano ancora il loro disprezzo per un disco così “diverso”. Mi prenderò la responsabilità di accusarli di superficialità, e porrò subito l’attenzione sulla loro contraddittorietà: non dimentichiamo che gli Helloween dei primi tre dischi erano sostanzialmente una band di “mattacchioni” (Rise And Fall, Dr. Stein, Starlight, e altre “chicche” disseminate qua e là), e con Chameleon sicuramente non perdono questa attitudine.
Invece di aspettarsi qualcosa da un disco, lo si dovrebbe valutare per quello che è, e, alla luce dei fatti, Chameleon mi sembra un album coraggiosissimo e di assoluto valore musicale, dal momento che presenta evidenti tentativi di evoluzione ed esplorazione di terreni poco battuti in ambito metal, come il country di “In The Night” o lo swing ottantiano di “Crazy Cat”. L’inflessione pop è presente anche in tracce come “When The Sinner” o in pezzi più speed come “Step Out Of Hell”, in cui il ritornello, componente che determinò il successo di molte Hit helloweeniane, è decisamente travolgente. Troviamo ancora la citatissima “Windmill”, ballad da brividi (ditemi voi quante volte la avete sfruttata per le vostre seratine galanti, magari in auto al chiaro di luna…), o pezzi decisamente più hard come “Giant” e “First Time”. Due dei brani scritti da Kiske, poi, “I Believe” e “Longing” sono meravigliosi gioielli che impreziosiscono questo album con echi da mille e una notte.
A mio modo di vedere la pecca di questo disco è la sua mancanza di compattezza: non c’è un filo logico, né a livello di concept, né a livello di sound. Ciò risulta decisamente spiazzante ad un primo ascolto, e non toglie quel senso di confusione determinato proprio da questa lacuna.
Per concludere, non lo considero affatto un capolavoro, uno di quei dischi che cambiano la storia di un genere, ma di sicuro lo apprezzo (e tanto) per la diversità della proposta. Forse con questa mia recensione non farò altro che nutrire ancora di più i preconcetti che da sempre accompagnano le uscite di un genere difficile come il Nostro, ma a dire la verità non era mia intenzione stroncarli. Non voleva essere una crociata, quindi, né una predica, ma soltanto una presa di coscienza che determinati pregiudizi ci sono e difficilmente potranno essere estirpati. Detto questo, rispetto tantissimo chi esigeva un altro “Keeper” (e che quindi è rimasto deluso da Chameleon), ma invito chi non ha mai ascoltato l’album in questione a formulare un giudizio solo dopo avergli fatto fare un giro sul proprio lettore…
Tracklist:
1. First Time
2. When the Sinner
3. I Don’t Wanna Cry No More
4. Crazy Cat
5. Giants
6. Windmill
7. Revolution Now
8. In the Night
9. Music
10. Step out of Hell
11. I Believe
12. Longing