Recensione: Chaos Horrific
Più di trent’anni di carriera e 16 (sedici!) album di death metal brutale, ortodosso e oltranzista. Senza pause, senza rallentamenti. A pensarci, fa effetto: poche band possono dirsi altrettanto longeve e costanti e, ancora di più, ci si chiede cosa sia possibile aggiungere ad un percorso così lungo e consistente, in un mondo, quello del death tout-court a tematiche horror, dai limiti ben delineati e tutto sommato abbastanza ristretti.
Eppure, se sono definiti i padri putativi di una certa scena non è un caso…a soli due anni da quel “Violence Unimagined” che ci aveva decisamente convinto (ma che ha pagato lo scotto di una scarsa promozione dal vivo causa Covid), tornano i Cannibal Corpse e lo fanno con “Chaos Horrific”, secondo album con l’importante presenza di Erik Rutan in veste di chitarrista, songwriter e produttore. Il suo ingresso non ha cambiato le regole del gioco: il nuovo membro, infatti, in quanto produttore della band dai tempi di “Kill”, era da considerarsi una sorta di sesto membro già da tempo ed ha saputo integrarsi senza creare scossoni al livello stilistico o compositivo (portano la sua firma ben cinque pezzi, tra musica e testi). Lo storico deus ex machina del death metal americano si affianca perfettamente al collega d’ascia Rob Barrett, in una comunanza di stile e approccio (esempio in questo senso gli assoli di “Summoned For Sacrifice”): tante volte il valore aggiunto di un musicista di fama che entra a far parte di una line-up storica e consolidata è proprio la capacità si subentrare assicurando continuità e sostanza.
Senza tanti giri di parole, siamo un’altra volta davanti al cospetto di quaranta minuti scarsi di furia death metal, spietata, efferata, che non scende a compromessi e che in dieci tracce essenziali esprime, come se ce ne fosse bisogno, chi siano i Cannibal Corpse nell’anno del Signore (?) 2023. Se pensavate che i capelli ormai incanutiti di Alex Webster o le donazioni di pupazzetti agli ospedali pediatrici di George “Corpsegrinder” Fisher significassero alleggerimento e serenità, vi sbagliavate di grosso: la band di Buffalo trapiantata in Florida ha ancora il sangue agli occhi e porta qualsiasi cosa al parossismo, che siano i testi, le ritmiche, la pesantezza o la velocità. “Chaos Horrific” è semplicemente l’album che volevamo ascoltare dal gruppo americano. Cercavate sperimentazioni? Evoluzione? Novità? Mentite sapendo di mentire. Ritrovare i Cannibal significa sperare di trovare quello che sta uscendo in questo momento dalle casse: un assalto frontale, possibilmente all’arma bianca e senza esclusione di colpi, sadico e spietato, inesorabile e brutale: cattiveria fatta musica, per intenderci.
I tre singoli presentati in anteprima rappresentano l’album tutto sommato bene, vale soprattutto menzionare ancora una volta “Summoned For Sacrifice”, che alterna splendidamente break cadenzati e ripartenze. Ma tutto l’album è una summa dello stile Cannibal Corpse, fatta di violenza sonora ben articolata, tra velocità e rallentamenti improvvisi: un esempio in “Frenzied Feeding”, ma anche la scelta compositiva verso i 3/4 di “Pestilential Rictus” non potrà non mandare in estasi gli appassionati di breakdown. E poi i “soliti” assoli al fulmicotone, la tecnica non esasperata e soprattutto mai fine a se stessa, la ricerca di atmosfere sulfuree (l’inizio della conclusiva “Drain You Empty”)…E per quanto riguarda i testi, possiamo assicurare che la maturità non ha minimamente alleggerito le liriche dei 5 “dolcestilnovisti” (…). A proposito, tranne Corpsegrinder, tutti si cimentano nel raccontare scenari raccapriccianti. Sarà semplicistico e peccato di lesa maestà, ma probabilmente solo gli Slayer riuscivano a rappresentare così efficacemente l’aggressività in senso musicale.
Tutta l’esperienza viene fuori nella consistenza del songwriting: l’album suona compatto, immediato, brutale…tutte cose già dette per la band originaria di Buffalo? Vero, eppure anche l’ascoltatore più esperto, smaliziato ed esigente non potrà non esaltarsi davanti alla qualità intrinseca evidente di un lavoro come “Chaos Horrific”. Nulla di nuovo, eppure poco altro di altrettanto efficace. Questo è semplicemente l’archetipo di un certo modo di intendere il death metal.
Sul podio assieme ad Immolation e Dying Fetus per quanto riguarda i gruppi veterani del genere, dove gli altri due rispettivamente approfondiscono la profondità e la complessità strutturale, i nostri portano all’estremo l’impatto, senza risparmiarsi, riuscendo a convogliare la brutalità in una forma canzone coesa e dinamica.
E’ sbagliato affermare che i Cannibal Corpse non escano dalla loro zona di confort. Loro sono la nostra zona di confort, quel porto sicuro in cui ci piace tornare dopo ricerca e sperimentazioni, che ci rassicura e asseconda. Sono la nostra dose di brutalità quotidiana grottesca e immaginaria che ci “protegge” dagli orrori veri, che incontriamo ogni giorno, uscendo di casa, leggendo il giornale, osservando l’efferatezza di un’umanità spietata.
Vittorio Cafiero