Recensione: Chaostorm
Che una band di old school death metal turca (Hellsodomy) s’intani nel buio fetido dell’underground internazionale non è cosa da tutti i giorni. In più, se porta con sé, in dote, un debut-album (“Chaostorm”) prodotto da label ufficiale (GFY Productions), allora la questione si fa seria.
Sì, poiché, com’è giusto che sia, tutti i Paesi del Mondo, si può affermare, hanno finalmente fornire il loro preziosissimo contributo alla causa del metallo oltranzista. Alla faccia di costrizioni politiche e religiose: la fratellanza metal è un sentimento sconfinato, si sa da sempre, ma lo è sempre di più, al passare delle decadi dell’aggressione. A mano a mano che incombe, ampliandosi giorno dopo giorno, l’ombra dell’Era del Caos.
Gli Hellsodomy, come lascia trasparire l’evidenza del nome, percorrono le strade dell’aberrazione, dell’eresia, dell’inversione delle regole inculcate a forza nei crani dei vari popoli dalla cultura occidentale. I quali, una volta rialzata la testa, esprimono in maniera evidentemente esagerata e provocatoria il loro essere contro.
Nekro Kasil & Co. hanno considerato, nella stesura di “Chaostorm”, che un’emozione di rivalsa così profonda non avrebbe potuto esprimersi al meglio se non con una sana, robusta, scellerata dose endovenosa di old school death metal. Il sound è violentissimo, brutale, morboso. Aggressivo al parossismo, rozzo, involuto. Marcio, putrido, disfatto.
Non per ciò, tuttavia, gli Hellsodomy si debbono necessariamente inserire nel girone degli scarsi. Anzi, l’impronta che hanno rifilato al proprio stile è profonda, riconoscibile, personale e adulta, ben formata. Non una formazione di serie B, insomma, come potrebbe condurre un erroneo pregiudizio sulle metal-band provenienti dalla loro terra natìa.
Song come “Mazochistic Molestation” sono autentiche scudisciate con il gatto a nove code sul costato, secchiate di budella in faccia. Death metal frontale, senza fronzoli, diretto come un pugno in pieno viso, dai ritornelli elementari, immediati. Rozzi, arcaici, sezionati da taglienti guitar-solo e quindi fatti a pezzi dalla follia scardinatrice dei blast-beats.
Il monotono semi-growling di Kasil, venato da follie screaming, apparentemente immobile sulle proprie linee vocali, pare al contrario elaborato apposta per concentrare l’impatto sonoro, sì da simulare una mano che va a strappare il cuore dal petto dei pavidi, dei traditori, dei codardi. Di coloro che, con la forza dei numeri, vogliono imporre il proprio credo agli altri esseri umani.
Con il wall of sound ingegnerizzato dallo stesso Kasil e da TurboRodrigo – per formare un’invalicabile linea di confine fra i fedeli alla causa del death metal e gli iconoclasti del death metal stesso – si va sul sicuro: gli Hellsodomy spaccano e sfasciano tutto e tutti senza pietà alcuna.
Nulla di nuovo, infine, come idee da mandare a futura memoria ma tanta, tanta ferocia e dedizione alla Bandiera. La Bandiera del death metal, che abbraccia tutte le Nazioni della Terra, senza divisione di sorta. Unite nella lotta alla violenza (vera) e all’ipocrisia.
Daniele D’Adamo