Recensione: Chapter One
A prima vista, la star di questo interessante progetto hard rock sembrerebbe essere il veterano cantante tedesco Michael Bormann, noto all’uditorio melodico per la lunga militanza nei Jaded Heart; eppure, dietro ad un monicker di probabile ispirazione tarantiniana si nasconde in realtà un manipolo di musicisti italiani di tutto rispetto.
La storia dei Grindhouse, come recita la loro bio (che potete leggere per intero sul sito web della band), nasce nel 2006, all’alba del trasferimento in terra siciliana del chitarrista Piero Ventimiglio. Le susccessive frequentazioni della scena musicale locale portarono Ventimiglio a stringere amicizia con Stefano Martolini – anch’egli chitarrista – e successivamente alla fondazione di una tribute band degli Iron Maiden.
Dopo aver incrociato le strade con un terzo chitarrista Ventimiglio, Martolini e la new entry Giorgio Calabrese si decisero a mettere in piedi una vera e propria band con l’obiettivo di cimentarsi nella stesura di brani originali.
Una volta assoldati Francesco Missale e Andrea Cicero, rispettivamente basso e batteria, l’ultimo tassello riguardava la scelta del cantante: il 2013 fu quindi l’anno dell’annuncio della collaborazione con Michael Bormann e dell’inizio delle registrazioni di “Chapter One”.
Il debut album della band italo tedesca, in quattro parole, si compone di nove canzoni di puro e fottuto hard ‘n’ heavy a base di riff metallici, ritmiche lineari ma efficaci e tostissime linee vocali intonate dalla sempre notevole ugola dell’ex Jaded Heart.
La travolgente opener “After Midnight”, apre le danze come meglio non si potrebbe, degnamente seguita dall’imprevedibile ma riuscitissima cover “Ain’t Nobody” (un classico della disco music firmato Chaka Khan) e dalla successiva “The Stunt”; tuttavia è l’intero album nel suo complesso a farsi valere per energia ed ispirazione,pur rimanendo entro i canoni di un genere ultra collaudato.
Tra gli episodi migliori vale assolutamente la pena di citare “The Enemy”, notturna e insinuante, valorizzata dai formidabili cori di scuola Fair Warning/Jaded Heart, la scanzonata “Nothing’s Gonna Stop Me” – dai gustosi accenti street/glam – e la spettacolare “Wild Dusk”, nella quale il rifferama funky stempera presto in un notevole crescendo melodico di marca Baton Rouge.
Il resto della tracklist propone, in ogni caso, una manciata di tracce a loro modo gustose seppur non ai livelli dei picchi di maggior valore contenuti in “Cahpter One”, dalla punkeggiante “The Way Out” fino alla Danger Danger-iana “What A Night”, passando per una “Titty Twister” molto orecchiabile e divertente.
Che dire? Una bellissima sorpresa da parte di un gruppetto di musicisti nostrani, con il plus costituito dalla partecipazione di un vocalist d’eccezione: per tutti i patiti dell’hard rock di tre decadi orsono, un ascolto consigliatissimo.
Stefano Burini