Recensione: Chickenfoot
Supergruppo musicale: “nucleo di artisti illustri e dal curriculum di particolare rilevanza, riuniti sotto un unico moniker per uno o più album”.
Ok, la definizione, pur se coerente, è palesemente inventata e non certo reperibile su alcuno dei dizionari in libera circolazione. Per iniziare a descrivere l’interessante progetto denominato Chickenfoot, non è tuttavia possibile partire da altri termini differenti da quello appena descritto: supergruppo.
Già, perché a giudicare dai personaggi coinvolti, null’altro viene da pensare che a qualcosa di assolutamente super.
Due ex membri, voce e basso, di una delle formazioni più influenti, decisive e fondamentali per l’hard rock d’ogni tempo, i Van Halen. Un batterista straordinario, partito in sordina tanti anni fa in una delle band più notevoli del funk rock alternativo, i Red Hot Chili Peppers, divenuto poi col tempo garanzia di valore eccelso e collaboratore prediletto di un’immane icona del rock come Glenn Hughes. E non da ultimo, colui il quale può essere ritratto senza troppi rischi come il più grande chitarrista attualmente in giro per il globo terracqueo, innovatore, genio e maestro riconosciuto ad ogni livello e latitudine in questo mondo ed in quelli vicini.
I nomi sono ormai sulla bocca di tutti e risaputi: Sammy “The Red Rocker” Hagar, Alex Anthony, Chad Smith e sua maestà Joe “Satch” Satriani. Pelle d’oca a leggerli insieme qualche mese fa, ed attesa subito spasmodica per ascoltare avidamente il prodotto di cotanta esperienza e bravura assommate in un’unica soluzione e messe in campo per la gioia degli appassionati.
Date le premesse dunque, disco storico, rivoluzionario e pietra miliare destinata a rimanere immortale?
Non del tutto, o almeno, non esattamente.
In effetti, a prima vista, le strade immaginabili ed attese ai primi comunicati, parevano poter essere due.
Un disco che suonasse come i Van Halen di 5150, F.U.C.K. e OU812, senza, appunto, i Van Halen, o un album permeato dai virtuosisimi appassionanti di un grandissimo come Satriani, atteso da molti nella veste di trascinatore di una squadra di fuoriclasse.
Spiazzando un po’ tutti invece, i quattro compari, troppo navigati per cadere in tranelli di facili circostanze o per assecondare un pubblico che, all’annuncio della line up, credeva d’aver intuito già ogni minimo particolare, sforna un disco in parte inatteso. Semplice e dallo stampo infinitamente classico, al punto da apparire quasi un voluto omaggio a quello che è – e deve essere per affinità elettiva – il genere d’affiliazione dei Chickenfoot: il caro, vecchio, sudato, maschio e sincero Hard Rock.
Poco spazio quindi, per ritornelli eccessivamente facili, elucubrazioni tecniche o concessioni a qualsivoglia forma di commercialità spinta. La radice è quella antica, che parte dagli anni settanta e mette in fila Led Zeppelin, Who insieme a qualcosa degli Ac/Dc e dei VH, misti al rock più solido. La forma è quella modellata da un quartetto di musicisti dalla personalità spiccata, ma in ugual misura, capace di non farsi vincere da sterili istinti da primedonne o superstar, garantendo così ai brani una amalgama tale da risultare frutto di un gruppo “vero” e non già di un progetto estemporaneo ove una o due “stelle”, lavorano mettendo in ombra i restanti membri della formazione.
Forza principale dei Chickenfoot è proprio questo. Proporsi come un complesso autentico, probabilmente destinato a durare nel tempo, in cui le doti d’ognuno agiscono al servizio del risultato finale, arricchendo e non già adombrando, l’operato degli altri.
Fa certo un po’ d’effetto quindi, scoprire un Satriani in versione “semplice chitarrista”, ma le conseguenze sono tutt’altro che malvagie o prive di valore artistico. Tanto meno, avare di “bellezza” intesa come pura godibilità d’ascolto.
Vinta la presumibile empasse iniziale, provocata – in effetti anche al sottoscritto – da auspici in parte disattesi, è del tutto inopportuno non giudicare più che buona la proposta della band statunitense, eretta sull’energia di canzoni assolate e corpose come le iniziali “Avenida Revolution” e “Soap On A Rope”, piuttosto che “Get It Up”, ”Runnin’ Out” e “Down The Drain”, rock duro, cadenzato, di stirpe verace, che non ha nulla di nuovo, ma riesce a soddisfare navigando sulla voce in formissima del sempre grande Red Rocker e si bea del tocco di ”Satch” Satriani, ambedue assecondati da una sezione ritmica a prova di bomba.
Pezzi di “mestiere”, estratti da un songbook che sa divertire con semplicità, superandosi in episodi caldi ed intensi quali “Sexy Little Thing”, “Oh Yeah” (primo singolo), “Learning To Fall”, ”Turnin’ Left” e “My Kinda Girl”, tracce beneficiate da una produzione de luxe e da una carica di fondo percepibile di prim’acchito, quella tipica, che fa dell’hard rock uno stile di musica adatto a stimolare il volume dello stereo, facendolo – irrimediabilmente e come da copione – salire con il trascorrere del minutaggio.
Sensazioni morbide, mescolate a dosi d’energia, si susseguono senza sosta portando alla luce canzoni d’autore dal sapore forte e sincero, via via sino alla conclusiva “Future in The Past”, pezzo che pare una sorta di manifesto programmatico del quartetto.
Il “Futuro Nel Passato”: ovvero un disco moderno, costruito utilizzando stilemi antichi da un gruppo di vecchie volpi che ripropone una ricetta scevra di innovazioni, ma infarcita d’enorme classe e grande mestiere.
Se esistono i “galacticos” nel calcio, probabilmente con uno spiegamento di forze simile, la medesima stima, un po’ caricaturale, potrebbe essere utilizzata anche per i Chickenfoot. I “Galacticos” dell’hard rock.
Moti di spirito a parte, le considerazioni finali, derivanti dall’ascolto della prima fatica congiunta di Hagar, Satriani, Anthony e Smith, sono riassumibili in una battuta letta nel nostro forum di recente:
“Non è il capolavoro che una line up simile potrebbe sfornare, ma con tre/quattro dischi del genere l’anno, il mondo sarebbe un posto migliore”.
Gioco, partita, incontro.
Discutine sul forum nel topic dedicato ai Chickenfoot!
Tracklist:
01. Avenida Revolution
02. Soap On A Rope
03. Sexy Little Thing
04. Oh Yeah
05. Runnin Out
06. Gei It Up
07. Down The Drain
08. My Kinda Girl
09. Learning To Fall
10. Turnin’ Left
11. Future In The Past
Line Up:
Sammy Hagar – Voce / Chitarra Ritmica
Joe Satriani – Chitarre / Basso / Harmonica
Michael Anthony – Basso / Cori
Chad Smith – Batteria / Percussioni