Recensione: Children of the Wicked – The Early Years
La prima volta in ambito HM che il termine inglese Wrath mi si stampò in testa fu in occasione dell’acquisto del debutto dei Bulldozer in vinile, nel 1985, quando The Day of Wrath – il giorno della collera, dell’ira – uscì sotto Roadrunner.
La storia dell’Acciaio elenca molteplici band che adottarono quel moniker, una quindicina, più o meno, con cinque delle quali nei soli Stati Uniti. Quelli di cui ci si occupa in sede di recensione sono nati a Waukegan, nei dintorni di Chicago, nel 1982. La loro storia riporta un breve periodo di inattività – dal 1995 al 1998 – qualche demo agli inizi, un Ep e cinque full length ufficiali, l’ultimo datato 2018. Il complesso ancora oggi risulta attivo.
Anche per i Wrath, così come per numerosissime altre compagini dell’empireo metallico, molto probabilmente la prima parte della carriera è quella maggiormente significativa, nonostante Stark Raving Mad del 2014 si difenda piuttosto bene. Il recente box griffato Dissonance Productions, label sussidiaria della Cherry Red Records, intitolato Children of the Wicked, The Early Years incapsula infatti i tre album che segnarono la seconda metà degli anni Ottanta del gruppo dell’Illinois. Rispettivamente il debutto Fit of Anger del 1986, il successivo Nothing to Fear risalente al 1987 e Insane Society del 1990.
Ad accompagnare il digipak a quattro ante apribili un libretto di dodici pagine ove la parte del leone la fa una corposissima storia della band curata da Kevin Stewart-Panko, irrobustita dalle informazioni raccolte dall’autore durante le interviste condotte con i membri originali dei Wrath Gary Modica (basso), Scott Nyqvist (chitarra) e Gary Golwitzer (voce); testo con a corollario molte foto d’epoca, ritagli di giornali, manifesti, copertine di riviste, in piena linea con le operazioni amarcord di questo stampo.
A livello musicale Fit to Anger mostra una band massiccia, che si dimena fra il classico heavy metal made in Usa e il thrash di matrice tradizionale. Un incrocio bastardo fra Vicious Rumors, Overkill e Megadeth. L’ugola aspra di Gary Golwitzer conferisce quell’acidità di fondo che è sempre un piacere ascoltare lungo le undici tracce del loro debutto (sono presenti anche un paio di bonus). Convinzione nei propri mezzi al 100%, quindi, ma fatalmente ai cinque metaller Usa – Gary Golwitzer (voce), Mike Nyrkkanen (chitarra), Scott Nyquist (chitarra), Gary Modica (basso), Rick Rios (batteria) – manca quel quid di magia necessario per colpire davvero nel segno.
La stessa formazione, al netto del cambio del batterista – fuori Rios e dentro Mike Fron – si conferma per il seguito, Nothing to Fear, probabilmente il loro disco più conosciuto, quello con la copertina dalla colorazione verde. Non a caso. I Wrath infatti risultano vicinissimi agli Overkill per tiro e songwriting. La produzione, molto più rifinita rispetto al predecessore, viene affidata a Ronnie Montrose e i buoni riscontri ottenuti dall’album permettono al complesso di imbarcarsi in tour proprio con gli Overkill e di suonare anche insieme con Testament, Danzig e Raven.
L’ultimo dischetto ricompreso nel box, Insane Society del 1990 – full length dalla cover non propriamente irresistibile – segna il cambio dietro al microfono. A Golwitzer subentra Kurt Grayson e l’avvicendamento riguarda anche la batteria, con l’innesto di Dave Sollman. Le variazioni, però, non portano particolare fortuna ai Wrath, che si scontrano con una pesantezza di fondo sin troppo esibita che toglie buona parte della vitalità a quello che fino ad allora era divenuto il loro marchio di fabbrica.
Si chiude quindi la prima parte della parabola artistica di un gruppo di stanza a Chicago, i Wrath, non dei fenomeni ma degli onesti mestieranti perennemente a cavallo fra il thrash e l’heavy, che meritano comunque il giusto rispetto.
Stefano “Steven Rich” Ricetti
