Recensione: China Sky II
Il ritorno di popolarità dell’AOR e dei generi musicali limitrofi, alquanto vivace almeno in alcune aree del globo terracqueo, ha ridestato l’interesse anche nei confronti di band che, negli anni di maggiore fulgore del genere, hanno fatto capolino solo con poche release, se non addirittura con una sola uscita discografica.
Questi album e questi gruppi sono diventati oggetto di particolare culto tra gli appassionati, tanto da riaccendere recentemente l’entusiasmo anche dei musicisti che le formavano, i quali realizzano spesso inattese reunion.
E’ il caso, ora, dei China Sky, formazione a tre, comprendente, alle chitarre, quel Bobby Ingram più celebre per il suo lavoro nei southern rockers Molly Hatchet, e che nel 1988 diede vita ad un celebrato LP ricolmo di melodia e dai contorni pomp-AOR.
Il cantante Ron Perry ed il bassista Richard Smith, dunque, hanno adesso riacceso gli amplificatori, riabbracciato strumenti e microfono e, aiutati da Steve Wheeler (chitarre – manca dunque all’appello proprio Bobby Ingram), Tim McGowan alle tastiere e Bruce Crump alla batteria, hanno ridato vita al monicker China Sky.
Ecco arrivare, inevitabilmente, pure un nuovo CD della band, intitolato, semplicemente, “China Sky II”.
Un tale titolo faceva presagire un lavoro del tutto in continuità con il lontano predecessore, ed il vostro recensore era lì già pronto a lucidare gli aggettivi che rappresentano la cassetta degli attrezzi del perfetto commentatore AOR (“cromato”, “laccato”, “ariosa”, “levigato”, e così via).
Le cose però, non stanno del tutto così.
Beninteso: i brani, qui, in grado di fare la gioia dei fans del melodic rock non mancano, e sono la maggioranza. Si pensi all’opener One Life (introdotta da tastiere pompose, e dallo sviluppo cadenzato e fiero), oppure a I’m Survivor (un evocativo midtempo dai contorni AOR). Si fa apprezzare, a pari merito con i precedenti, pure I Believe In You, un rocker un pò frenato ma gradevole grazie ai suoi ficcanti riff di chitarre ed alle sue ariose melodie, per non parlare di I Wish I Could Fly, la quale fa pensare, in apertura, ad un mood più cantautorale che da band, ma che esplode poi in un ritornello da power ballad emozionante e da manuale. Enemy, invece, si dimostra un pop-rock gradevole ma prevedibile.
Altrove si respira un’aria più da cantautorato americano e canadese. Si veda, ad esempio, The Road Not Taken, col suo crescendo che la trasforma da slow arpeggiato a ballata elettrica e drammatica. Pure The Richest Man In The World è una canzone pianistica che appare maggiormente imparentato con Billy Joel ed Elton John che con l’hard rock, ancorché melodico.
Notevolmente più dura You’ll Get Yours, qualificata da tastiere che richiamano alla mente certi Rainbow, così come la groovy Give It Up e la dinamica e nervosa Dreams I’ll Never See, ingemmata dall’apporto melodico oltre che ritmico del basso.
E se The Darkness è, ancora, un hard rock ottantiano altero e inquieto, You’re Not The One sembra avanzare faticosamente con il freno tirato.
China Sky II, in buona sostanza, è un full-length gradevole, ma non paragonabile per brillantezza all’esordio del gruppo. Pur se ingioiellato, infatti, da molte canzoni il cui ascolto può disegnare più di un ampio sorriso sul volto degli appassionati di rock melodico, risulta discontinuo e infiacchito, a tratti, da qualche traccia priva di mordente.