Recensione: Christ Illusion
Dopo aver pubblicato qualche disco non propriamente esaltante, come per esempio “God Hate us All”, gli Slayer si ripresentano al grande pubblico forti del ritorno del figliol prodigo Dave Lombardo alla batteria.
Recensire un nuovo disco di un gruppo come gli Slayer non è cosa facile, il rischio è quello di perdere di vista l’obbiettivo valore musicale del disco a favore dell’esaltazione di trovarsi di fronte ad un nuovo lavoro di un gruppo che ha fatto la storia dell’Heavy Metal, e non solo del Thrash, ma quando ci si trova ad ascoltare un disco del calibro di “Christ Illusion” tutto diventa più semplice.
Fin dalle prime note di “Flesh Storm” si capisce che finalmente i quattro maniaci americani (più o meno) sono tornati a fare un disco degno del loro nome, la canzone infatti è la degna erede di “War Ensemble”, riff assurdamente cattivi e velocità decisamente sostenuta fanno di “Flesh Storm” un sicuro classico delle esibizioni live del gruppo, ed altrettanto sicuramente un pezzo che mieterà molte vittime tra il pubblico.
Non penso di esagerare dicendo che questo nuovo album doveva essere, anzi è, il vero successore di “Season in the Abyss”, avendo la band finalmente tralasciato, ma non dimenticato, il suo lato più hardcore a favore del Thrash che ha contraddistinto i momenti migliori della sua carriera, senza però dimenticare quel tocco più moderno che rende fresco tutto il lavoro.
Canzoni del calibro di “Catalyst”, “Skeleton Christ”, “Black Serenade” o quel macigno terrificante che risponde al nome di “Cult” non potranno che fare la gioia di qualsiasi Thrash Maniac, grazie ad un riffing che si attesta su livelli assolutamente devastanti, riuscendo a dare lezioni di violenza sonora alla maggior parte dei gruppi estremi della scena odierna.
Il disco è un susseguirsi di mazzate sonore davvero terrificanti, senza mai un calo di tensione. E se un pezzo come “Eyes of the Insane” si muove su ritmi cupi e lenti, con aperture veramente devastanti, ci sono altre song come “Consferacy” pronte a lanciarsi a velocità elevate o come “Catatonic” dove gli Slayer creano un muro sonoro di una compattezza impressionante, oppure ancora la conclusiva “Supremist”, dove, soprattutto nei riff iniziali, la band mette in mostra la sua visione distorta della melodia musicale.
L’unico brano a non avermi completamente convinto è “Jihad”, che mi suona troppo modernista nell’impostazione e in certi frangenti confusionaria a livello di songwriting.
I suoni sono davvero ottimi, cattivi, sporchi e violenti come si addice ad una band del loro calibro, e riescono perfettamente a cogliere la potenza delle canzoni.
Tecnicamente c’è poco da dire sugli Slayer, tutti sappiamo che a livello solista la coppia Hanneman/King non è sicuramente delle migliori, ma è altrettanto vero che il loro modo di suonare è uno dei marchi di fabbrica della band, e dal punto di vista ritmico i due axeman sono assolutamente impressionanti, la voce di Tom Araya almeno su disco riesce a mantenere tutte le caratteristiche che l’hanno resa famosa, cioè una cattiveria unica. Ma il vero punto di forza è il ritorno di Dave Lombardo dietro le pelli, non che Paul Bostaph non fosse all’altezza, tutt’altro, ma Dave è IL batterista degli Slayer, il suo modo unico di suonare è una parte importante nella musica della band, e su questo album si capisce perfettamente la sua importanza.
Gli Slayer sono tornati, e finalmente lo hanno fatto con un disco all’altezza della loro storia, che il massacro abbia inizio!