Recensione: Chronosfear
Ve li ricordate gli anni Novanta? Una decade importantissima per la storia della musica dura, che ha visto dapprima la rinascita di un genere e poi la sua vera e propria esplosione su scala mondiale. Stiamo ovviamente parlando del power metal, che proprio in quegli anni faceva la voce grossa, regalando agli appassionati alcune gemme immortali. L’Italia, in particolare, sembrava una vera e propria fucina di power band, molte delle quali si sono imposte in maniera autoritaria nella scena internazionale, diventando, spesso, fonte di ispirazione per altre formazioni. I nomi sono noti a tutti, stiamo parlando di Labyrinth, Secret Sphere, Rhapsody, Cydonia, Skylark, Vision Divine, White Skull, giusto per citarne qualcuno… Provate a riportare alla mente lo spirito, il fermento, le emozioni che quel periodo e quei nomi hanno saputo trasmettere. Ci siete? Bene, siete entrati nel mood. Prendete ora l’omonimo debutto dei bresciani Chronosfear, inseritelo nel vostro lettore, premete il tasto play e preparatevi a vivere un viaggio a ritroso nel tempo, che vi riporterà proprio nell’Italia metallica della seconda metà degli anni Novanta.
Sì, perché la proposta dei Chronosfear è figlia diretta di quel periodo, di quelle band, un symphonic power metal con influenze prog, che sembra trarre ispirazione dai primi Secret Sphere, in cui incontriamo aperture in stile Labyrinth, Stratovarius e Vision Divine. Se poi consideriamo che “Chronosfear” viene pubblicato dalla storica Underground Symphony, etichetta italiana che ha lanciato molte delle band citate in precedenza, il déjà vu diventa più vivo che mai. Sia chiaro, allontanate dalla vostra mente l’idea che i Chronosfear giochino la facile carta del revival per ottenere velocemente le attenzioni di fan e critica, come sempre più spesso accade in questi ultimi anni. La compagine di Brescia realizza un prodotto di classe, carico di passione, convinzione ed entusiasmo, in grado di trasmettere emozioni, dedicato a tutti gli appassionati del symphonic power, capace di soddisfarne anche i palati più esigenti e delicati. Undici sono le tracce che compongono “Chronosfear”, canzoni ben strutturate, in cui nulla è lasciato al caso, frutto di un songwriting ispirato, impreziosito da un gran senso di musicalità, dove spiccano, già dal primo ascolto, ‘The Gates of Chronos’, ‘The Last Day Ember’, la ballad ‘Innocent and Lost’, ‘Time of Your Life’ e ‘Revelation’. Pezzi che possono tranquillamente essere presi come biglietto da visita dell’album, che evidenziano quanto detto finora e mettono in luce un altro aspetto che caratterizza il quintetto di Brescia, ovvero una perizia tecnica invidiabile sfoggiata da ogni musicista. Capacità che vengono messe al servizio della struttura canzone, rendendo di facile assimilazione anche passaggi intricati che si lasceranno scoprire con gli ascolti. Due parole in più vanno spese per l’operato del tastierista Davide Baldelli che, oltre a “correre” sui tasti in sede solistica, svolge un lavoro incredibile in ogni traccia. Risulta infatti essere il vero e proprio collante tra i vari cambi d’atmosfera che caratterizzano le composizioni dei Chronosfear, riuscendo in ogni frangente a creare il giusto pathos. Un interessante e piacevole tappeto sonoro su cui Filippo Tezza, con personalità, traccia le proprie linee vocali, aumentando la carica emotiva di ogni singolo brano. Un cantante che sembra aver studiato a fondo le lezioni impartite da Roberto Messina, Andrè Matos e Michele Luppi, risultando tecnico, ma senza perdere di vista l’interpretazione, riuscendo in quella “cosa” che distingue un cantante che è in grado di fare la differenza: la capacità di trasmettere emozioni.
Ricordiamo però che ci troviamo al cospetto di un debutto e, come spesso accade in questi casi, non tutto gira alla perfezione. Le composizioni, infatti, poggiano su una struttura simile tra loro, aspetto che risulta più evidente dopo ripetuti ascolti e che, alla lunga, farà perdere un po’ di potenzialità alla prima fatica dei Chronosfear. Fattore che, inevitabilmente, risulta correlato alla lunghezza del disco. Come dicevamo, undici sono le canzoni che compongono “Chronosfear”, per un totale di un’ora scarsa di ascolto. Un paio di pezzi in meno avrebbero sicuramente giovato all’economia dell’album.
Nonostante questo, però, il debutto sulla lunga distanza dei Chronosfear evidenzia una band dalle grandi capacità, che in prospettiva fa sicuramente ben sperare. In un genere abusato come il symphonic power, in cui è stato detto tutto, e forse di più, il quintetto bresciano si presenta con personalità, realizzando un lavoro interessante, da cui spiccano alcune tracce dalla classe cristallina. Superate le piccole ingenuità di cui abbiamo parlato in sede di analisi, i Chronosfear hanno tutte le carte in regola per lasciare un segno del proprio passaggio. In quest’ottica, l’Underground Symphony si dimostra una volta in più etichetta dall’occhio lungo. In passato, la combinazione power metal, etichetta e band italiana ha aperto le porte a delle compagini che oggi ricoprono i posti alti nella gerarchia della musica dura, vedremo se la storia potrà ripetersi nuovamente. In bocca al lupo, Chronosfear!
Marco Donè