Recensione: Circadian

Di Haron Dini - 14 Novembre 2020 - 12:40
Circadian
Band: Intervals
Etichetta: Hold Tight
Genere: Progressive 
Anno: 2020
Nazione:
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70

In questa annata molto particolare, specialmente per la musica, possiamo dire che in fin dei conti gli ascolti non sono mancati. Questa volta infatti è arrivato il turno di Aaron Marshall, chitarrista canadese che esce allo scoperto quasi inaspettatamente con questo sesto lavoro, Circadian. Gli Intervals sono una band che col passare degli anni ha mutato pelle continuamente a partire dai primi tre lavori djent metal, ossia The Space Between, In Time e sicuramente il lavoro più riuscito di questo gruppo, A Voice Within (tra l’altro, unico disco dove è presente il cantato). Dopo quest’ultimo arriva un’aria di cambiamento, infatti The Shape of Colour e The Way Forward, per chi segue la band dagli albori, possono essere “considerati” i lavori solisti del frontman Aaron, visto il cambio di line up intercorso. Quello che propone oggi è una musica più “catchy” e sicuramente, se bisogna essere oggettivi, siamo di fronte a un sound che già prima era aggressivo, ma ora si è trasformato in un progressive metal più emotivo, passionale, probabilmente anche dal songwriting più maturo, aggiungendo al tutto un pizzico di synth. Per finire, quello che rende anche più appetibile un nuovo lavoro degli Intervals è sicuramente il personaggio che si è creato Aaron Marshall, il quale vanta diverse collaborazioni con artisti come Plini, Sithu Aye, David Maxim Micic, Nick Johnston e altri ancora.

Ma ora ritorniamo al presente e svisceriamo Circadian, in uscita il 13 novembre. Quest’ultima fatica senza ombra di dubbio si muove sulle stesse coordinate dei precedenti due lavori, possiamo accorgercene con la song di apertura, nonché primo singolo uscito in anteprima, “5HTP”. La struttura del brano, nonostante sia molto avvincente e in stile Intervals, sa di già sentito come nei vecchi brani più commerciali della band, per esempio “I’m Awake” e “Touch and Go” in linea di massima. Ma non per questo la seguente “Vantablack” è un pezzo minore, anzi, ci distoglie dai ricordi dei vecchi dischi e ci propone un pezzo molto veloce all’inizio, ma che presto cambia forma dando spazio a una sezione di basso di Jacob Umansky. A mutare registro ci pensa la seguente “Luna[r]tic” che con i suoi quattro minuti di durata offre un brano, se così possiamo dire, spensierato e armonioso nei suoi assoli e lick in pulito, mentre “Lock & Key”, secondo singolo uscito (con ospite Joshua De La Victoria per un guest solo), è anch’esso un brano che non si discosta molto dai precedenti ascolti. Allo stesso modo “Signal Hill” non dona nulla di innovativo, mentre per quanto riguarda il pezzo successivo, “String Theory”, i fan italiani ne saranno molto colpiti, perché come ospite troviamo Marco Sfogli, componente della PFM, ma soprattutto chitarrista del progetto solista di James Labrie. Una collaborazione molto particolare, quindi, che vede Aaron Marshall eseguire un brano galoppante per poi passare il testimone a Marco Sfogli, in un assolo di altissimo livello tecnico. “D.O.S.E” riesce a smorzare il tutto con suoni anni ‘80 dimostrandosi una semi-ballad in certe frangenti, mentre l’energica e conclusiva “Earthing” chiude il disco in maniera impeccabile.

Dunque, a conti fatti, come giudicare Circadian? Questo lavoro per certi versi è un buon disco, ma quello che suona Aaron Marshall sostanzialmente è tutto un reminder di molte cose che abbiamo già sentito in The Shape Of Colour e The Way Forward. Le bellissime idee non mancano e Aaron è un grandissimo chitarrista e un ottimo songwriter, però la ricetta è sempre quella e con il passare del tempo si rischia che tutto ciò possa essere stancante. Se bisogna confrontare Circadian con tutto il resto della discografia probabilmente è il lavoro più scarso di questo progetto. Ci aspettiamo che in futuro ci siano dei cambiamenti, nel frattempo non perdiamo la speranza di ascoltare altra buona musica.

 

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