Recensione: Circle
Si parta tranquillamente dall’assunto che, con l’uscita di The beginning of times, non avrei esitato un secondo a far fucilare in tronco tutti e sei gli Amorphis ed a ruota il loro produttore Marco Hietala. Egualmente, all’uscita del menzionato platter, avevo posto una solida stele a memoria imperitura dei finnici, colonna portante ed imprescindibile della tradizione melodica dei mille laghi. Ad inchiodare a fuoco tale parere rimane il mio commento in calce alla recensione dedicata, commento che, a due anni di distanza, non esito a ribadire con fierezza.
È anche vero però che da una band discesa nella casa della morte (Tuonela) per regalarci un sempiterno capolavoro è lecito attendersi tante risorse quanti sono i laghi a nord della Karelia. Ed è pure vero che i nostri già una volta erano precipitati in abissi così profondi da lasciare tutti convinti che il Sole, gli Amorphis, non lo avrebbero mai più visto per davvero. In quella circostanza la nuova linfa vitale era stata prodotta da un esimio sconosciuto, quel Tomi Joutsen che avrebbe dato nuova forma alla vis elegiaca di questa band, sempre in linea col passato, ma sempre più proiettata verso un epicità grandiosa eppur stucchevole. Col passare delle uscite purtroppo il secondo elemento era finito per prevalere, e l’ispirazione per eclissarsi fino a lasciarci tra le mani un prodotto sì ben fatto, ma privo d’ispirazione, piatto, stanco, più prossimo a una fine che all’inizio dei tempi.
C’era bisogno dunque d’una nuova scossa che ancora una volta avrebbe dovuto venire dal di fuori. Più precisamente è venuta dalla Svezia e rispondente al nome di Peter Tägtgren. La cooperazione tra mostri sacri lasciava spazio a diverse supposizioni – e la promosong gettataci in pasto le confermava. Il senso melodico proprio dei finnici non poteva essere snaturato. E l’aggettivo finnico qui va riferito ad un intero popolo, che ha costruito la propria tradizione su melodie semplici ma condite da tessiture foniche infinitamente diverse, tanto da regalarci ora Elegy, ora Kivenkantaja, ora Nifelvind, ora Wishmaster (sì, perfino i Nightwish sono parte di questa tradizione). Ciò che però dovrebbe far la forza del disco che qui stiamo ad esaminare è lo scontro di tale tradizione musicale con quella del vicino svedese, detestato Variago conquistatore prima, imperdonabile traditore durante la guerra di Finlandia poi. Una tradizione, quella svedese, sempre carica di pathos ma pure più terrena, tagliente e rabbiosa.
Il trapasso non è indolore ed anzi, Circle si presenta fin da subito come un disco di rottura o meglio, come un disco estremamente frammentario. Il variago è venuto per conquistare, spazza via le produzioni magniloquenti ed ampollose di Skyforger e Silent Waters in favore di suoni più terreni, ruvidi e grezzi, suoni che in casa Amorphis erano stati perduti da molto tempo. Chitarre ronzanti e tastiere sì evocative ma mai invadenti plasmano una nuova sonorità, che decisamente risponde anche al sottesto poetico di Circle, non più imperniato sull’epica Kalevala, ma più intimista e personale. Il growl torna ad occupare massiccio svariate fasi del disco, e si presenta assai variegato, forse anche più che in Silent Waters. L’apice di cotanta violenza è sicuramente Enchanted by the moon, un pezzo che mai più ci saremmo aspettati dai finnici e ci riporta indietro di oltre dieci anni. D’altro canto lo spirito che infuoca gli animi dei sei non è certo sì debole da lasciarsi spegnere senza opporre resistenza. Anzi, spesso lotta in difesa della sua identità, emerge in ritornelli carichi di nerissima ed impalpabile disperazione, ora si manifesta tramite rapidi e leggerissimi tocchi di piano. Emerge così la malinconica Mission, sorge dalle tenebre il disperato refrain di The wanderer, esplode magnificamente la drammatica Into the abyss. Episodi che rivelano un songwriting rinato e pronto a volare ancora alto, a fianco di Silver bride, di Rusty moon o di Goddess. I luoghi in cui Circle rivela maggior fascino tuttavia sono quelli dove le due tradizioni, quella ruvida e quella melodica, convivono fianco a fianco, alternandosi a produrre song varie ed imprevedibili. Se il discorso può essere fatto per The Wanderer, i due esempi più fulgidi di questa commistione incompleta sono Hopeless days e soprattutto Shades of gray, saturate da chitarre vagamente black su cui irrompe, dal nulla, come un’autentica sorpresa, un ritornello bello carico e tipicamente amorpho. Come se i nostri avessero deciso di cantare solo gli epici ritornelli, lasciando la strofa ad una band di black melodico moderno. Magari non si tratta delle canzoni che più di tutte si stamperanno a fuoco nei nostri nervi acustici, ciò non ostante si tratta di ottimi esperimenti che speriamo trovino seguito negli anni futuri.
Pekka Kainulainen, bardo celato dietro ai testi dei finlandesi, ha definito il concept di Circle come una storia di sopravvivenza, la storia di uno sventurato destinato all’emarginazione che, grazie ad un aiuto esterno, riesce a scoprire la propria forza vitale ed a riprendere il controllo della sua vita. Ed effettivamente Circle si conferma, come Eclipse, un disco di sopravvivenza per gli Amorphis: ancora una volta si riscuotono da una deriva creativa parsa ai più inarrestabile e riprendono il controllo di una rotta che, dai tempi di Tuonela, si è mossa su coordinate stabili e li ha visti scrivere alcune delle pagine più belle dell’epica metallica finlandese. Sebbene non ci troviamo innanzi ad un nuovo capolavoro, rimaniamo piacevolmente sorpresi.
Tiziano “Vlkodlak” Marasco