Recensione: Circles
L’Ucraina sta ultimamente imponendosi come Paese ex-CCCP guida per il metal estremo, e in particolare per il deathcore. Molto di più della Russia, per esempio, di estensione territoriale al confronto immensa. Assieme agli Jinjer, si possono accumunare quindi i Crucify Me Gently fautori, però di una proposta assai più scura e tenebrosa, sì da coniare, per loro, il neologismo blackened deathcore.
Il deathcore, ormai, sta raggiungendo dignità di foggia musicale a sé stante. Diversa dal death metal, diversa dal metalcore. Esso, difatti, partito come mera, o quasi, sequenza di micidiali bordate breakdown ha, a mano a mano che si sono susseguite le stagioni, accorpato a sé i mood caratteristici del death stesso, padre putativo a prescidere: melodic, technical, brutal, e, ora, blackened. Ma non death. Deathcore.
Così, con il proprio debut-album, “Circles”, il quartetto di Uzhhorod ha provato a dipingere di nero il deathcore semplice, producendo uno stile sicuramente originale, anche se non così innovativo da far gridare subito al miracolo. L’idea, però, è buona, e così lo stesso “Circles” può definirsi un concentrato di tremenda potenza e aggressività; e, soprattutto, un viaggio nei gangli più bui e inesplorati della mente umana. Quelli ove albergano sentimenti contrari, si può dire, all’imperante – di già – spirito natalizio. Misantropia, pessimismo, mancanza di ogni speranza per il futuro, tormento, consapevolezza di una società in decadimento destinata in breve all’estinzione. Con buona pace della Terra e degli altri esseri viventi. L’epopea umana su questo pianeta, insomma, si sta chiudendo con un’indecorosa chiusura del cerchio, e cioè con la fine di un ciclo.
Il violentissimo attacco dell’opener-track, ‘Occultist’, del resto, non lascia dubbi, tantomeno prigionieri. La furia scardinatrice dei Crucify Me Gently non guada in faccia nessuno. Alex Rusnak frusta i suoi compagni con un growling belluino, quasi urlato, assai efficace nell’inserirsi – come un elefante in una cristalleria – fra le diamantine, acute cuciture melodiche partorite dalla chitarra di Alexander Tsutskov. Spaventose accelerazioni al fulmicotone, innescate dai taglienti e furibondi – ma precisi e puliti – , blast-beats del drumming, si alternano a improvvisi rallentamenti ove i Nostri approfondiscono, e tanto, l’aspetto emozionale. Scandendoli, questo è ovvio anzi necessario, da poderose scudisciate stop’n’go. Sino a giungere, con l’arcana voce femminile che gorgheggia in ‘Delirium’, ai limiti della follia umana. Quella che sta accompagnando per mano l’Uomo stesso nella sua irreversibile corsa in direzione dell’annichilimento. Sia fisico, sia – soprattutto – culturale. Un neo-imbarbarimento che senz’altro i Crucify Me Gently colgono dall’alto di una sensibilità non comune.
Ciò che deriva da un approccio artistico di questo tipo, la tecnica è ai massimi livelli del genere, è l’esternazione di una sofferenza endemica, profonda, irreversibile. Anche rabbia, come si percepisce in song devastanti come per esempio ‘Fame Will Fade’. Sino a giungere alla closing-track, nonché title-track, ‘Circles’. Dalla composizione tipica di una suite per i tanti elementi inseriti nel suo percorso. Oscura melodia, BPM al massimo, BPM al minimo, disperazione, auto-distruzione, trance da hyper-speed, stordimento totale, allucinazione.
Ma, soprattutto, quel mood, così tanto bene espresso dai Crucify Me Gently in tutto “Circles”. Il quale, come Opera Prima, mostra delle caratteristiche ancora acerbe ma meritevoli di essere approfondite ulteriormente e, nello specifico, variate in misura maggiore, all’atto della scrittura dei singoli brani.
Nel complesso, promossi!
Daniele D’Adamo