Recensione: Circles
NeroArgento, non una novità. Anzi. L’artista italiano, che si occupa di cantare e di suonare tutti gli strumenti, ha da poco stretto l’accordo discografico con l’altrettanto italiana Rockshots Records per dare alle stampe il suo quinto full-length, “Circles”.
Genere? Difficile inquadrarlo. La sperimentazione e i crossover sono parecchi, tali da definire uno stile sostanzialmente unico. Il che, di per sé, mostra sin da subito la bontà della proposta tricolore. Tuttavia, volendo scegliere un nome, non rimane che scrivere industrial. Industrial che, anch’esso, in questo caso, vuole dire tutto e niente. “Circles” è, infatti, un disco dai mille risvolti. Caleidoscopico, multiforme ma, come detto, fedele servitore della foggia musicale espressa e quindi dipinta con decisione dal Nostro connazionale.
Il quale mostra una notevole personalità, che si estrinseca mediante undici canzoni di ottimo livello tecnico/artistico. NeroArgento non è né un’astrazione estemporanea, né un qualcosa privo di anima e corpo, creato per essere consumato in fretta e furia. Al contrario, l’LP è fortemente indicativo di una serietà professionale posta ai livelli più alti dello specifico panorama internazionale.
E il metal?
Non ce n’è tantissimo, se lo si intende nella sua forma più usuale. Ma, come dimostrano brani come la title-track, un richiamo nemmeno tanto nascosto c’è. Esiste. È concreto. Non c’è ovviamente da aspettarsi qualcosa tipo Fear Factory et similia ma occorre sottolineare che il platter suona duro e potente. NeroArgento, peraltro, è assai abile a utilizzare in modo massiccio l’elettronica incrociandola con tutto ciò che gli passa per la testa (armonica a bocca e tromba in ‘Here in the Cold’). Anche questo sintomatico di un carattere non comune, sicuro di ciò che crea e per nulla intimorito di quello che potrebbe affermare la critica specializzata.
Del resto, si ribadisce, “Circles” non è stato partorito per essere commerciale, di facile ascolto, magari per fungere da sottofondo sonoro nei supermercati. Tracce come la strumentale ‘Zen’ oppure la sincopata, dissonante ‘Not My Turn’ sono lì a dimostrarlo. Suoni sì perfetti ma ostici, destinati a orecchi abituati ad affrontare la seconda arte non solo a 360° ma ad angolo diedro. Un’esplorazione dell’universo dell’invisibile destinata a coloro che abbiano alle spalle un retroterra culturale di tutto rispetto, insomma. Il che, almeno a parere di chi scrive, può essere visto come un altro notevole pregio del platter. Che, fra l’altro, come si potrebbe erroneamente pensare, magari dopo qualche distratto passaggio, non ha nulla a che fare, se non in modo marginale, con la cultura cyber punk. Distanziandosene, soprattutto, per la mancanza evidente di quel flavour distopico che è stato così bene tratteggiato nell’ormai seminale lavoro di Billy Idol (“Cyberpunk”, 1993).
C’è melodia, certamente (‘Inside’, ‘Shed My Skin’), ma non è mai così orecchiabile. Essa è chiaramente figlia delle idee e concezioni di NeroArgento, che non esita ad abbracciare quanta più materia possibile (per esempio il melodic rap di ‘What If’ oppure di ‘Will You Feel Sorry?’ che, in alcune linee vocali, richiama i Rockets, leggendario gruppo di space rock che ha avuto massima notorietà a cavallo del 1980); concentrandosi unicamente su se stesso e non su quello che vorrebbe la gente.
Allora, non resta che lasciarsi andare e sprofondare nell’immaginario quanto vivibile mondo cibernetico materializzato dall’album; sorvolando città avveniristiche, ipertecnologiche, dalle sterminate dimensioni cartesiane, popolate da milioni e milioni di uomini e androidi. In armonia fra loro, intenti a gustarsi le song di “Circles”.
Fortemente consigliato alle menti di aperte vedute.
Daniele “dani66” D’Adamo