Recensione: Circles [Reissue]
A Chinese Firedrill è il nome del progetto iniziato nel 2005 dal bassista Joey Vera, già conosciuto per la sua militanza all’interno di gruppi noti come Fates Warning, Anthrax, Office Of Strategic Influence, Armored Saint. Senza contare l’aiuto del batterista Greg Studgio, si tratta quasi di una one-man-band, in cui Vera dà dimostrazione di saper suonare un gran numero di strumenti, presentandosi nelle vesti di bassista, chitarrista, tastierista, e cantante, dando vita a un disco di musica soffusa e distensiva, che mette da parte i virtuosismi che ci si potrebbe aspettare da un musicista del suo calibro. Il curioso nome con cui viene battezzata questa collaborazione è un’espressione nata assieme alle prime immigrazioni cinesi in America che veniva utilizzata per descrivere il bizzarro comportamento di questi nuovi cittadini, visto come come caotico e privo di organizzazione; da qui l’espressione “a chinese firedrill”, utilizzata per indicare attività disorganizzate o pericolose.
Circles è il frutto del lavoro dei membri di questo progetto e viene pubblicato nel 2006 dalla Bridge Records e ristampato l’anno successivo dalla ProgRock Records: si tratta di un album contenente sette tracce di un ottimo art rock, facile e piacevole da ascoltare, molto curato nelle sue orchestrazioni e dalle atmosfere delicate ed evanescenti che ricordano gruppi come o Porcupine Tree e gli Opeth acustici di Damnation.
A dispetto di quel che può sembrare, lo strumento meno presente in questo disco è proprio il basso di Joey, messo quasi in secondo piano durante la durata dell’album e impiegato perlopiù per rafforzare la sezione ritmica, anche se talvolta emerge dallo sfondo e si esibisce in breve assoli. Il disco è un continuo intreccio di due anime diverse e contrapposte, un’unione ben riuscita tra strumenti acustici ed elettrici, gli uni che si tuffano negli altri, su cui intervengono sia linee di voce pulite, sia pervertite dai filtri, ad opera dello stesso ex Fates Warning.
L’esordio degli A Chinese Firedrill è un album che racchiude in sé molteplici anime musicali, talvolta abbastanza diverse tra loro: si parte da brani dall’impatto quasi immediato come la title-track di apertura Circles, ricca di riff sporchi di chitarra e da un ritornello piacevole ed orecchiabile e si affrontano canzoni più malinconiche come Automatic Fantasy. Qui le sei corde sono le protagoniste indiscusse del disco, acustiche, in clean, distorte e con effetti che riproducono il suono di un sitar, in un’atmosfera che ricorda molto il filone progressive polacco di Riverside e Believe, abbellito da inserti di voce deformata, pianoforti e assoli di chitarra ben inseriti all’interno del pezzo.
Il lato più oscuro e claustrofobico di Circles emerge con Insane, scarna ed essenziale nel suo tappeto di tastiere ovattate graffiate qua e là dalle incursioni delle chitarre; le linee di cantato di Vera qui sono cadenzate, malinconiche e volutamente distanti, pulite e distorte, intervallate da parti più energiche e da assoli di chitarra. Come un giocoso contrasto, emerge nella traccia successiva un’altra faccia del gruppo, acustica e solare come gli RPWL: si tratta di Siúcra in un primo momento e di Grass And Stone in un secondo, in cui hanno ancora un ruolo centrale sia le chitarre acustiche, sia le linee vocali.
A Chinese Firedrill nasconde un ultimo animo all’interno sia della sua quinta traccia, Never Say Never, sia dell’ultima Rock, Paper, Scissors: quello psichedelico, che strizza l’occhio alla musica dei Riverside. La prima, giocata sul continuo alternarsi di partiture minimali in cui il ruolo principale è affidato alla monotonia volutamente cadenzata del cantato e di altre più spigolose e aggressive, ricche di chitarre distorte che si fondono con la voce. La seconda, con i suoi abbondanti nove minuti è forse il brano più interessante ed elaborato del disco: ha la grande capacità di sorprendere l’ascoltatore e cullarlo tra numerose distorsioni ed effetti di voce e di chitarra che ronzano intorno alla testa, si avvicinano l’una all’altra, si allontanano e si sovrappongono confondendosi con la voce, mentre il cantato confonde con uno strumento, in un risultato così piacevole che la lunga canzone sembrerà durare troppo poco.
Il disco con cui gli A Chinese Firedrill si presentano al pubblico è quindi un lavoro che contiene ottime idee e mostra la grande abilità compositiva ed esecutiva di un musicista a tutto tondo, Joey Vera, che sa farsi apprezzare per questo ed è un così musicalmente preparato da mettere da parte la tecnica fine a se stessa per comporre. Chitarrista, tastierista, bassista e cantante e l’artwork di Circles che contiene nelle varie sfumature di blu i vari cerchi presenti in natura: la corona solare durante un eclisse, un cerchio di fuoco, la pupilla di un occhio, la corolla di un fiore… è anche opera sua, assieme a Luis Gallegos.
Silvia “VentoGrigio” Graziola
Tracklist:
01. Circles
02. Automatic fantasy
03. Insane
04. Siúcra
05. Never say never
06. Grass and stone
07. Rock, paper, Scissors
Lineup:
Joey Vera: basso, chitarre, piano, tastiere e voce
Greg Studgio: batteria