Recensione: Circus of Doom
Un nuovo album per i Battle Beast che è da considerare un po’ come la prova del nove. Infatti, dopo una partenza sfolgorante che lo ha messo in evidenza tra le band più promettenti della scena metal, il gruppo finlandese ha in seguito perso un po’ di slancio.
Un periodo di sbandamento coinciso con l’abbandono del fondatore e maggiore songwriter Anton Kabanen, il quale, una volta uscito dalla band ha dato vita al suo progetto personale, i Beast in Black.
Ora, se questo split abbia veramente influito o meno sull’operato più recente dei Battle Beast può essere argomento di infinite discussioni, resta comunque il fatto che, a seguito di quest’episodio, le due compagini si sono ritrovate loro malgrado in una sorta di competizione. Un po’ come quelle più classiche alle quali abbiamo assistito negli anni passati tra altri nomi come Metallica e Megadeth oppure Helloween e Gamma Ray. E per quanto sia da una parte che dall’altra si possa provare a smentire la cosa, nei più maliziosi (e non solo) si è insinuato il tarlo che le cose stiano invece proprio così.
Dalla data di rottura con Kabanen, risalente al 2015, i Battle Beast hanno inciso due dischi appena discreti, considerati da molti come dei mezzi passi falsi, mentre i Beast In Black hanno fatto tre centri grazie ad altrettanti album convincenti ed ispirati. Ovviamente Noora Louhimo e soci non intendono restarsene fermi al palo a guardare i loro concorrenti spiccare il volo, per cui questo nuovo “Circus Of Doom“, per i Battle Beast è necessariamente un’occasione di rivalsa con cui riaffermare le proprie quotazioni.
Il disco si apre in modo abbastanza pesante con la tittle track: un mid tempo massiccio e rabbioso con parti sinfoniche in evidenza. Più ritmata e diretta la seguente “Wings Of Light“, forse anche più adatta al ruolo di opening track. Il singolo “Angels Fear To Fly” e “Master Of Illusion” sfoderano invece la carta del del metal con melodie pop. Formula questa molto ricorrente nelle produzioni della band, che per questi due brani si avvale ancora di certe soluzioni sinfoniche.
Strutture melodiche sono presenti anche su “Eye Of The Storm” con maggior attenzione per le strofe catchy di facile impatto, ma nonostante l’orecchiabilità, il pezzo stenta un po’ a centrare l’obiettivo.
Siamo giunti già a metà disco ma “Circus Of Doom” stenta ancora a decollare. Non stiamo parlando certo di brani brutti, ma molto ordinari, magari ascoltabili, che però si risolvono senza lasciare il segno. Tutti segnali questi che cominciano a far temere un altro buco nell’acqua per le bestie finlandesi
A sorpresa invece, con il metal-pop di “Russian Roulette“, si ritorna un po’ in carreggiata. Apprezzabile inoltre, un curioso stacchetto in ragtime (la musichetta da bordello di fine 1800 per intenderci) verso il finale della canzone. In “Freedom” si cambia decisamente registro sterzando verso un power veloce con ritmiche arrembanti e un virtuoso assolo di chitarra con cui la bestia da battaglia dimostra di saper, all’occorrenza, ancora tirare fuori gli artigli.
“The Road To Avalon” punta ancora su metal e sonorità disco-pop anni 80/90 che non di rado – complice forse l’alcol – fanno danzare non poche anime borchiate (….e non nascondetevi dietro un dito che tanto si sa che è così!)
Si arriva così all’accoppiata finale n cui i Battle Beast piazzano due colpi vincenti. “Armageddon“, un brano dinamico e coinvolgente con la melodia che gioca ancora un ruolo primario ed un ritornello trascinante. Non da meno la prestazione di Noora Louhimo che sale alla ribalta ringhiando le strofe con la grinta che l’ha sempre contraddistinta. Infine “Place That We Call Home“, che dal titolo avevo supposto si trattasse di una ballad: al contrario ci troviamo di fronte ad un altro episodio di power aggressivo dalle sfumature epiche che fa riaffiorare i fasti dei dischi d’esordio.
Che dire quindi di Circus Of Doom?
Un disco sinceramente un po’ spiazzante, che parte un po’ in sordina per poi dare una svolta nella seconda metà, sfoderando una serie di brani più riusciti. Come già detto in precedenza le composizioni iniziali non sono affatto pessime, ma scorrono via senza emanare quello sprint e quel dinamismo che ha segnato i migliori capitoli dei Battle Beast.
Decisamente meglio invece la seconda parte, in cui Noora Louhimo e company sfoderano una vena compositiva più ispirata. Negli ultimi episodi, in particolare, si riescono addirittura a rievocare i fasti del passato con una serie di pezzi che invogliano ad essere riascoltati più volte.
Si fosse trattato di un ep con inclusi gli ultimi cinque brani, avremmo potuto affermare che i Battle Beast sono tornati in piena forma. Purtroppo però non si possono ignorare le composizioni iniziali, banali e scontate. Scritte con il “pilota automatico”. E sinceramente, dalla band autrice di capitoli come “Steel” ed “Unholy Savior” è lecito aspettarsi molto di più.
Per il momento cerchiamo di vedere il bicchiere mezzo pieno.
La partita con i Beast In Black resta ancora aperta…