Recensione: Clad In Black
Gli storici ‘vampiri a stelle e strisce’ Helstar, nati nel lontano 1981 a Houston in Texas, si rifanno vivi dopo cinque anni dall’ultimo album “Vampiro” con “Clad In Black”, EP che ci presenta 3 inediti accompagnati da altrettante cover di Accept, Black Sabbath e Judas Priest: leggendo questi tre monicker possiamo immaginare fin da subito come il percorso musicale degli Helstar proceda in una direzione lievemente diversa rispetto ai precedenti album. Gli Helstar infatti, a partire dall’album “The King Of Hell” del 2008, hanno piazzato gradite incursioni in ambito Speed/Thrash in ogni disco; queste influenze si sono sentite in modo particolarmente forte nel massiccio “Glory Of Chaos” del 2010, ma anche i successivi “This Wicked Nest” del 2014 e il succitato “Vampiro” hanno garantito ai fans momenti di rara aggressività. In “Clad In Black” i Nostri architettano, se così si può dire, una sorta di ridimensionamento della proposta musicale: pur essendo scritto e suonato dai medesimi musicisti che troviamo in “Vampiro”, “Clad In Black” riporta lo stile degli Helstar in territorio indiscutibilmente Heavy: le canzoni mostrano un incedere generalmente più pesante e cadenzato rispetto ai furiosi brani in up-tempo proposti a partire dal 2008, come nel caso della prima traccia, la solenne e sontuosa “Dark Incarnation (Mother Of The Night)”. Con la successiva “Black Wings of Solitude” gli Helstar ci dimostrano come anche loro, seppur di rado, riescano a scrivere brani riflessivi e intensi, consegnandoci uno dei rari esempi di power ballad nella loro discografia, mentre il terzo e ultimo inedito “Across The Raging Seas” eredita dagli album precedenti una certa irruenza e registra un cospicuo aumento dei BPM, rimanendo comunque saldamente ancorato a un solido terreno Heavy. Il livello della produzione sonora rimane piuttosto alto e va di pari passo con la sempre maiuscola prestazione del mitico cantante James Rivera, che mette quasi completamente da parte gli acuti in scream dei lavori precedenti (peraltro riuscitissimi) per ritornare ad un’impostazione vocale pulita che ben si adatta ai tre nuovi pezzi di “Clad In Black”. Rivera fortunatamente non accenna minimamente a perdere la sua grande voce: abbiamo l’onore di ascoltare un cantante che ha prestato servizio in gruppi come Malice, Vicious Rumors, Agent Steel e Flotsam And Jetsam e che può vantarsi di aver militato nella sua lunga carriera anche in alcune cover bands proponendo brani di Black Sabbath e Iron Maiden. Non stupisce pertanto la scelta di presentare in “Clad In Black” covers di brani estratti dalle sconfinate discografie di tre illustrissimi gruppi, giustamente famosi anche per l’indiscussa grandezza dei loro cantanti: gli Helstar omaggiano con grande rispetto e buoni risultati gli Accept con la title track di “Restless and Wild”, i Black Sabbath di “Dehumanizer” con “After All (The Dead)” e per finire i Judas Priest con “Sinner”, brano pescato da “Sin After Sin”. La canzone più “moderna” fra le tre selezionate è proprio “After All (The Dead)”, cantata a suo tempo dal leggendario Ronnie James Dio e pubblicata nel 1992: questo la dice lunga sulla tradizione alla quale gli Helstar sembrano voler fare ritorno, quel Metal classico che non muore mai e che mai potrà farlo finchè numi tutelari come gli Helstar continueranno a portarne fieramente il vessillo. E’ necessario difatti ricordare come la formazione statunitense ci abbia regalato autentici classici durante gli anni ’80 del secolo scorso; basterebbe il poker d’assi rappresentato dai loro primi quattro album per innalzare gli Helstar all’Olimpo: a partire dal 1984, anno di pubblicazione del primo “Burning Star”, gli Helstar continuano un percorso artistico di alto livello con “Remnants Of War” e “A Distant Thunder”, fino ad arrivare nel 1989 al celebre “Nosferatu”. Anticipata dal brano “Dracula’s Castle”, ultima traccia di “Burning Star”, la conversione al vampirismo in musica arriva con l’album “Nosferatu”, viene suggellata in “Vampiro” ed è confermata ulteriormente nell’EP oggetto di questo articolo. Gli Helstar dimostrano quindi di essere ancora interessati al tema: in modo meno lapalissiano rispetto all’ultimo “Vampiro”, anche il titolo “Clad In Black” richiama l’argomento citando il celeberrimo romanzo epistolare Dracula, scritto da Bram Stoker nel 1897. Uno dei personaggi del romanzo, Jonathan Harker, parla del primo incontro col Conte Dracula e ne descrive l’abbigliamento in questo modo: ‘vestito di nero (clad in black) dalla testa ai piedi’. Oltre alla consueta dignità nel songwriting i Nostri sembrano quindi voler donare una dignità letteraria al proprio lavoro, dopo aver indissolubilmente legato la loro produzione musicale alla Storia del Cinema con l’ottimo album “Nosferatu”: Nosferatu il vampiro, infatti, è il titolo di uno dei film muti più importanti del Ventesimo secolo. Opera fondamentale per il genere horror e per tutto il cosiddetto cinema espressionista, la pellicola, diretta da Friedrich Wilhelm Murnau nel 1922, nella trama si ispira più o meno liberamente al romanzo di Bram Stoker; annose questioni di copyright resero però necessario cambiare alcuni elementi come i luoghi in cui si snoda la vicenda, il titolo e il nome del protagonista (‘Conte Orlok’ anziché ‘Dracula’). L’estetica dell’antagonista principale è forse la differenza che salta subito agli occhi; nel film di Murnau il vampiro non è un ricco, fascinoso e apparentemente rispettabile nobiluomo mitteleuropeo: pur mantenendo il titolo di Conte si trasforma in una creatura dai tratti somatici mostruosi che, visti con il senno di poi, sembrano anticipare in qualche modo i volti degli orchi della recente trasposizione filmica de Il Signore Degli Anelli.
Viene così a crearsi un’efficace ed evocativa incarnazione del vampiro, talmente azzeccata da insediarsi in pianta stabile nell’immaginario collettivo; questa rappresentazione del non-morto, tanto per fare un esempio, incontrerà i favori del mondo dei giochi di ruolo in tempi più recenti: uno dei Clan nel gioco di ruolo Vampire The Masquerade infatti è la dinastia Nosferatu, e le fattezze dei suoi appartenenti ricordano proprio il vampiro di Murnau. Se lo stesso personaggio viene scelto dagli Helstar per animare la copertina dell’album “Nosferatu”, in “Clad In Black” viene citata fin dalle prime battute la fonte stokeriana, quasi a voler nobilitare ulteriormente, se mai ce ne fosse bisogno, il livello dell’ultima fatica targata Helstar. In realtà, per amor di precisione, va detto che le parole clad in black sono già state sfruttate in “Vampiro” nel testo del brano “From The Pulpit To The Pit”, il che dimostra ulteriormente il legame tematico fra i due ultimi prodotti degli Helstar. Insisto sui collegamenti tra “Clad In Black” e il full-length precedente perchè “Vampiro”, originariamente pubblicato nel 2016, viene fornito come succulento disco bonus aggiuntivo nell’edizione in digipack pubblicata a Febbraio dall’etichetta Massacre Records. E meno male, in un certo senso…perché siamo arrivati alla proverbiale nota dolente: se il prodotto di cinque anni di silenzio è rappresentato da tre canzoni inedite e tre brani cover, è normale che si cerchi di rendere in qualche modo più appetibile la proposta. Ben venga quindi la riproposizione di “Vampiro” per rendere il piatto più ricco, ma francamente ci si poteva aspettare qualcosa in più. Non che il materiale sia di scarso valore, intendiamoci bene: i tre nuovi brani di “Clad In Black” vengono suonati da una band in forma, capace di abbandonare coraggiosamente le componenti Speed/Thrash per rigenerarsi nella tradizione Heavy, quasi a voler tornare ai fasti degli anni ’80 senza comunque perdere di vista suggestioni più moderne e contemporanee. L’impressione generale però è che gli Helstar abbiano dato il meglio di loro nei periodi in cui hanno compiuto scelte stilistiche più estreme. Attenzione, il termine ‘estremo’ va letto con le dovute cautele: non parlo soltanto degli estremismi sonori degli album usciti nel ventunesimo secolo, ma anche delle sofisticate soluzioni di opere come “Nosferatu”, in cui gli Helstar mettevano in mostra un lato del Metal anni ’80 leggermente più complesso rispetto alle proposte discografiche senza troppi fronzoli di molti gruppi nati nella stessa epoca. Senza dubbio gli Helstar ci hanno stupito molte volte negli ultimi anni, e può darsi che l’unico modo per continuare a sbalordire i fans fosse proprio un parziale ritorno ad un sound ancorato alle lezioni impartite dalle grandi bands del passato, in particolar modo i Judas Priest (non a caso orgogliosamente ‘coverizzati’ in questo EP). Volendo quindi tirare le somme, è possibile concludere la recensione esponendo una certezza e una speranza: la certezza è che “Clad In Black” farà passare una piacevole mezz’ora a chi non riesce a rinunciare alla sua dose giornaliera di sano, roccioso e glorioso Heavy Metal; la speranza è che gli Helstar recuperino per i prossimi lavori la voglia di osare che li ha contraddistinti fino pochi anni fa, possibilmente senza farci attendere altri cinque anni…buon ascolto a tutti!
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