Recensione: Clash of the Gods
La carriera ormai trentennale dei Grave Digger ha toccato i temi più disparati: dai Templari all’anello dei Nibelunghi, dai cavalieri della Tavola Rotonda ai racconti di Edgar Allan Poe… senza dimenticare la storia scozzese, ripresa a sedici anni di distanza dal celebre Tunes of War nell’ultimo full-length The Clans will rise again.
Il nuovo Clash of the Gods abbandona invece le cornamuse e le verdi distese delle Highlands a favore di un bel ripasso di mitologia greca, coronando finalmente il sogno nel cassetto che il singer Chris Boltendahl non era mai riuscito a portare a termine in tutti questi anni. Il risultato finale non è un concept, ma l’album può comunque essere idealmente diviso in tre parti che trattano temi diversi.
Si parte con la triade infernale introdotta da Charon, opener semplice ma di grande effetto. L’atmosfera sulfurea, accentuata anche dal cantato in tedesco, separa il mondo dei morti da quello dei vivi che stiamo per abbandonare per sempre e di cui percepiamo chiaramente il vociare nelle strade, il suono di un organetto e lo stormire dei gabbiani. Si ha la percezione di essere (letteralmente) traghettati al cospetto prima del God of Terror Ade con un’intro thrashy che diventa sempre più incalzante per poi esplodere nel chorus; poi dell’Hell Dog Cerbero, pezzo che sembra aver poco da aggiungere al precedente in quanto ne rispecchia molto da vicino la struttura.
La seconda parte del disco si apre con i malinconici arpeggi e il cantato spettrale, quasi sussurrato di Medusa, che prosegue con un riffing tagliente ma a tratti banale. Viceversa la titletrack si distingue per il contrasto tra la violenza della batteria e l’atmosfera dolce, quasi orientaleggiante della chitarra: un vero e proprio “scontro” sonoro che richiama metaforicamente il titolo.
Dopo l’intermezzo piuttosto anonimo e fuori contesto rappresentato da Death Angel and the Grave Digger, i chorus di Walls of Sorrow aprono la terza parte dell’album, incentrata sulla guerra di Troia ed in particolare sulla figura di Ulisse che dopo aver dovuto affrontare The Call of the Sirens si ritrova… Home at last. Peccato che nel refrain della prima la band faccia copia-incolla di sé stessa (come non pensare immediatamente alla vecchia The Dark of the Sun?) e la seconda sia un plagio in piena regola della celebre Over the Hills and far away di Gary Moore. E così quest’ultima parte dell’album, che avrebbe potuto essere la migliore anche in virtù di un buon songwriting, non fa altro che accentuare il principale difetto dell’album: la ripetitività delle strutture ritmiche, che vedono la quasi totale assenza di assoli e un’enfasi davvero eccessiva sui chorus.
Purtroppo Axel Ritt si conferma non all’altezza dei suoi predecessori e la differenza si sente fin dal primo ascolto: nonostante la buona partenza data dalle prime due tracce e una tematica di indubbio interesse come la mitologia greca, Clash of the Gods non brilla per capolavori ma nemmeno contiene brani del tutto inascoltabili.
Se paragonato alle uscite più recenti del Becchino, è sicuramente superiore al mediocre The Clans will rise again ma allo stesso tempo non raggiunge gli standard più che buoni di Ballads of a Hangman. Per quanto riguarda i fan di lunga data di Boltendahl e soci si tratta quindi di un acquisto da non sconsigliare totalmente, bensì da ponderare in base al proprio amore più o meno viscerale per il gruppo. I neofiti possono invece girarne tranquillamente alla larga, non prima di aver ascoltato (almeno) Tunes of War, Knights of the Cross e Rheingold.
Benedetta Premoli
Tracklist:
1) Charon, Faehrmann des Todes
2) God of Terror
3) Hell Dog
4) Medusa
5) Clash of the Gods
6) Death Angel & the Grave Digger
7) Walls of Sorrow
8) Call of the Sirens
9) Warriors Revenge
10) With the Wind
11) Home at last
Line-up:
Chris Boltendahl – Vocals
Stefan Arnold – Drums
Jens Becker – Bass
H.P. Katzenburg – Keyboards
Axel Ritt – Guitars