Recensione: Clessidra
La nascita della band romana denominata Laviàntica (contrazione di “La via antica”, a testimoniare le affluenze retrò del gruppo) risale alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso (dunque in piena ondata “new prog”), sebbene con il diverso monicker di Alterego.
Dopo varie vicissitudini, i musicisti capitolini tornano in pista con il nuovo nome, e, forti anche del successo come finalisti al Musiche Roma Festival, danno alla luce in questo 2013 al primo full-length.
“Clessidra” (questo il titolo dell’album autoprodotto), non lascia dubbi sul percorso stilistico lungo il quale i Laviàntica intendono lasciare le proprie tracce: il lavoro, infatti, non lesina rimandi alla migliore tradizione progressive italiana dei Seventies, grazie anche al cantato in italiano.
Impossibile, dunque, nell’ascoltare il five-piece romano, non tornare con la mente e con il cuore ai fasti di PFM, Banco e Le Orme. Siamo, infatti, con Clessidra, alle prese con un prog molto gradevole, abbastanza lineare e limpido, arricchito da influenze cantautorali e da echi new progressive (ivi compresi rimandi ai Marillion più recenti).
Esempio di miscellanea tra le diverse influenze è l’interessante Nel vento, uno slow caratterizzato dal lavoro di chitarre e pianoforte e con il canto in bella evidenza; siamo qui dalle parti di un prog contiguo a melodia e cantautori. Anche Finché il giorno non finisce assume i toni della ballata elettrica, con il pianoforte ancora sugli scudi insieme alla coinvolgente melodia; e pure Clessidra predilige i tempi lenti e si caratterizza per il raffinato contributo della voce femminile.
Icaro, invece, si differenzia per i raffinati spunti soft-jazz e per il piano comunque sempre in bella evidenza.
Con Sole, altresì, entriamo decisamente nel territorio di un prog non astruso e non privo di suggestioni da ballata elettroacustica, ornato da limpidi assoli di chitarra elettrica.
Ma è con Laviàntica che la band offre la propria performance più interessante, grazie ad un lungo brano strumentale percorso anche dalla struggente voce del violino, e che ci offre un viaggio attraverso un progressive “anni settanta” zeppo di cambi di ritmo e d’atmosfera tra aperture melodiche e qualche momento più aggressivo e rock.
Clessidra è, dunque, un’opera gradevole ed interessante realizzata da una band in grado di fornire raffinati intrecci strumentali (sui quali si vorrebbe un cantato un po’ più caratterizzato), messi al servizio prevalentemente di un mood rarefatto ed elegante invece che degli sterili virtuosismi in cui a volte il progressive indulge.
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