Recensione: Climae-Episteme

Di Andrea Poletti - 21 Gennaio 2016 - 0:10
Climae-Episteme
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2015
Nazione:
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69

Di bands clone ne esistono centinaia di centinaia, bands che prendono sfumature e rielaborano in maniera personale i grandi del passato altrettante. Nel black metal oramai siamo tutti ben consci che nulla si crea e nulla si distrugge; i mastodonti del passato rimarranno sempre scolpiti nella roccia mentre i “tester” contemporanei volano leggeri in balia delle onde. In alcuni momenti, quando le coordinate degli astri si allineano alla perfezione, proprio in quei rari momenti, è possibile trovare un eccezione. Un’eccezione che ovviamente non sovvertirà le forze del passato e cambierà la scena, ma che sicuramente riuscirà nel suo piccolo regalare qualche scampolo di sana e massiccia allegria in salsa black metal.

Il menù del giorno propone gli Inquisitor, giovane band al secondo album, proveniente dalla Lituania (quel paese a nord, al freddo che in molti non sanno identificare nemmeno sulle cartine geografiche) e sfornano questa nuova fatica che,  pur non eccellendo tra gli astri, offre molteplici spunti di riflessione e di gratificazione personale. Non è il classico black sparato a mille, non è il black atmosferico che va tanto di moda negli ultimi periodi ma, ancora più semplicemente anche se non tanto, la rivisitazione degli Emperor periodo IX Equilibrium con una dose massiccia di avantgarde al suo interno. Ciò che rende onore ai nostri è la perfetta combustione che han creato tra i vari componenti, riescono a sentire meticolosamente le note nelle loro mani diventandone padroni assoluti; anche le tastiere applicate intelligentemente lungo l’intero minutaggio portano ad un inspessorimento del suono: dinamico, avvincente e mai banale ha accenti che guarda caso portano alla mente certi nomi illustri. Come detto il ricordo dell’operato di Ihsahn & Co lungo le varie tracce è preponderante, aggiungiamoci echi distanti dei Dimmu Borgir dell’epoca di Spiritual Black Dimension, i Limbonic Art nei rallentamenti atmosferici e anche una velatura dei cari vecchi Anorexia Nervosa ed il gioco è fatto. Band di calibro quest’ultima, con un passato glorioso che oggi avrebbero necessità di un erede con i controtesticoli e che possa soppianta alcune lacune compositive proposte negli ultimi anni. Climae/ Episteme, non delude, diventando una delle novità più interessanti dai lidi baltici da anni a questa parte attraverso un songwriting intelligente e ricco di sfumature, figlio di un passato glorioso con le ali spiegate oggi verso il contemporaneo contaminato. Le rasoiate in blast beat che si intersecano alla perfezione con le armonizzazioni delle rare melodie (Hence the Mouthful of Time) nei rallentamenti dove il basso diventa sovrano sono manne dal cielo per spezzare la routine, in netto contrasto con il cantato che spadroneggia su più registri vocali. E’ possibile catalogarlo come black melodico, black sinfonico, avantgarde black, ma per una volta ogni tanto è semplicemente catalogabile come Inquisitor sound, dove una band affronta la sfida di prendere i grandi e personalizzare, come la storia insegna. Basta ascoltare tracce come Quae Sint, Of Water and Circling Thesis o la conclusiva Peri Memeneias  per riuscire a godere della prospettive multisfacettate che i nostri riescono a connettere senza difficoltà, quasi fosse una jam session dove ci si comprende alla perfezione. Esistono difetti in questo album? In questa band? Certamente altrimenti staremmo parlando dell’album che cambierà le coordinate stilistiche di un genere tanto chiuso quanto paradossalmente aperto alle sperimentazioni. Ciò che non rende al meglio è la costante referenziati a dei passaggi già conosciuti di questo o quell’album di un passato oramai arcinoto a tutti. Capiamoci bene ragazzi: bravi sì, ma con ancora un carattere da formare alla perfezione. Probabilmente una miglioria sotto l’aspetto stilistico andrebbe a perfezionare il tutto, togliendo quella patina di certosino e preconfezionato che in alcuni momenti sale su dal palato; una produzione leggermente più organica avrebbe inoltre accresciuto l’oscurità che si percepisce, senza mai purtroppo riuscirla a sfiorare realmente. I cambi tempo, le dinamiche, i fraseggi accennati in precedenza sono da applausi ma risultano freddi e distaccati, come se ciò che si volesse trasmettere non sia dentro lo spirito della band, concentrata più nel rincorrere la perfezione piuttosto che l’empatia con la musica qui proposta.

Chiudiamo baracca e burattini applaudendo gli Inquisitor che pur proponendo un sound personale, con svariati omaggi al passato necessitano ancora di ricercare una personalità, senza andare a debito con chi prima di loro ha tracciato certe coordinate stilistiche. Magari al prossimo fantomatico terzo album i nostri riusciranno a togliere qualche errore e a raccontarci una storia più sincera, ma se le premesse sono queste non vediamo altro che luci sul loro cammino. Promossi, con un occhio di riguardo al futuro.

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