Recensione: Close to the Edge

Di Abbadon - 4 Giugno 2003 - 0:00
Close to the Edge
Band: Yes
Etichetta:
Genere: Prog Rock 
Anno: 1972
Nazione:
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100

Cosa succede quando una band tra le massime autorità sulla scena del
rock progressivo mondiale confeziona un album che ancora oggi viene ricordato come uno dei suoi migliori dischi? Ovviamente ne esce uno dei migliori lavori della scena prog rock in generale.
Close to the Edge è proprio questo, uno dei migliori dischi prog rock mai concepiti da una band. Esce nel 1972 sotto la blasonata Atlantic Records, e ancora a 31 anni dalla sua uscita (il disco è stato anche rimasterizzato pochi anni fa) lascia subito il segno nel cuore di chi ascolta questo tipo
di musica. Il quintetto formato da Jon Anderson, Steve Howe, Bill Bruford, Rick Wakeman e Chris Squire è superbo sotto ogni frangente, sia dal lato compositivo che da quello esecutivo, e questo lavoro ne è testimonzianza palese (in una intervista John Petrucci ha esplicitamente detto che Close to the Edge è stato il disco che ha cambiato, musicalmente parlando, la sua vita).
Le canzoni sono solamente 3 (alcune divise in “atti”), capaci però di garantire 37 minuti abbondanti di musica celestiale, con cambi di ritmo ad ogni andare, estro a tonnellate e, cosa non secondaria, tecnica praticamente
perfetta. Anche le liriche sono più che pregevoli, e dotate di una notevole vena introspettiva. Si parte subito immersi nella natura (canti di uccelli e un fiume che scorre rapido) con la title track, ovvero “Close to the Edge”. La canzone è divisa in quattro parti (“The solid time of Change”, “Total mass Retain”, “I get up I get down”, “Season of man”), separate fra loro nei concetti ma splendidamente legate in musica. Quasi non si nota nemmeno
di passare da un atto all’altro, grazie ai tratti sonori che variano tantissimo da un attimo all’altro, lasciando sicuramente spaesato chi ascolta prog per la prima volta. La tastiera e la batteria sono davvero perfette nel ricreare atmosfere idilliache, la voce di Anderson, sia quando canta da sola
che quando è accompagnata da quelle di Squire e Howe, è espressiva, pulita e intonatissima, e chitarra e basso ci deliziano con cambi di musicalità, tempo e ritmo a tutto andare, pur mantenendo un sentimento di fondo dolce e deciso allo stesso tempo. Sempre rimanendo sulla title track, essa presenta ovviamente molte melodie, melodie che quasi mai si ripetono, ad eccezione di quella della parte che potremmo (bestemmiando) chiamare refrain, ovvero il tratto che dice “Down by the Edge, round on the Corner…(continua)”. Penso che musicalità di tale “ritornello” sia anche quella più dolce e convincente presente nella canzone stessa, che nel suo complesso è una vera e propria bomba di quasi 19 minuti.
Molto più breve ma altrettanto emozionante è “And You and I”, song anch’essa divisa in 4 sottotracce (“Cord of Life”, “Eclipse”, “The Preacher The Teacher”, “Apocalypse”), stavolta però più lineari e marcate nella loro differenza, pur mantenendo un ottimo legame di fondo. Ecco che si parte quindi con una chitarra dominante in “Cord of Life”, uno spettacoloso arpeggio che dà inizialmente una sensazione di vuoto, per poi passare a dare emozioni molto speranzose e positive, impreziosite da un eccellente gioco di echi. Il tutto più o meno si ripete in “The preacher and the Teacher”, che pur avendo una melodia e un arpeggio diversi dà le medesime sensazioni. Il vero asso nella manica della canzone è però Wakeman, che usa la tastiera come splendido supporto nelle parti uno e tre, e addirittura magistralmente in “Eclipse” e “Apocalypse”, dove praticamente le keyboards sono primo secondo e terzo strumento, lasciando il resto, esclusa ovviamente la voce, come mero contorno e finitura. Ultima song è la singola (nel senso che è un pezzo unico, solo caso nell’album) “Siberian Khatru”, track molto rock nel senso stretto del termine, non con eccessivi cambi di tempo (salvo nella dolce parte centrale, dove il brano rallenta), ma davvero trascinante in tutte le sue sfaccettature e strumenti (dalla melodia di base, agli splendidi arpeggi). Siberian Khatru  è davvero un modo più che degno per chiudere un album eccezionale, che forse non sarà il migliore degli Yes (almeno io gli preferisco “Fragile”) ma di sicuro si gioca questo primo posto con un lancio di moneta, per qualità ma soprattutto per il modo di come la musica suonata in “Close to The Edge” fa capire cosa vuol dire comporre e soprattutto interpretare il progressive rock. 

Riccardo “Abbadon” Mezzera

Tracklist :
1) Close to the Edge (18:50)
 I – The solid time of change
       II – Total mass retain
      III – I get up i get down
       IV – Season of man

2) And You and I (10:09)
 I – Cord of life
       II – Eclipse
      III – The preacher the teacher
       IV – Apocalypse

3) Siberian Khatru (8:57)

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