Recensione: Closer to the Edge
I First Signal arrivano addirittura al quarto album, essendosi formati ormai dodici anni fa (del 2010 è il primo, omonimo e ottimo disco). A fianco di Harry Hess troviamo sempre il fido batterista Daniel Flores, che a questo giro si accomoda anche alla poltrona della produzione, prendendo il testimone nientemeno che da Dennis Ward (Pink Cream 69).
I pezzi sono frutto della scrittura di una piccolo team di nomi della scena AOR e Melodic Rock, tra i quali troviamo, oltre a Hess stesso, Pete Alpenborg (Arctic Rain), Guillermo Del Medio (Inner Stream), Alessandro Del Vecchio e Kristian Fyhr (Seventh Crystal).
Per coloro che, a quest’altezza della recensione di Closer to the Edge, si stessero ancora chiedendo chi mai sia questo Harry Hess, ricorderò che il canadese è la voce degli Harem Scarem, ovvero una delle migliori band AOR e Melodic Rock dell’inizio degli anni Novanta (e tuttora attiva), i cui primi due dischi, l’omonimo Harem Scarem (1991) e Mood Swing (1993), rappresentarono per i fan del genere un argine al dilagare del grunge di Seattle, che al tempo stava occupando ogni poro dell’epidermide del rock.
Lo straordinario gusto melodico degli Harem Scarem non può non essere richiamato dai brani di Closer to the Edge, se non altro per la voce stessa di Hess e in virtù dell’influenza che la band di Toronto continua ad esercitare su qualsiasi produzione di un genere musicale che essa stessa ha contribuito a cesellare. Tuttavia, c’è nei First Signal un certo gredo di personalità distintiva e, perché no, di originalità, pur nel rispetto assoluto dei canoni fondamentali del genere, che si incarna soprattutto in una proposta un poco più hard nei suoni rispetto alla band madre di Hess.
Ascoltare Closer to the Edge è, nel complesso, un piacere per le orecchie del melodic rocker. Prendete una Don’t Let It End, che apre il disco: contiene, da sola, tutte quelle componenti che fanno una (ottima) canzone rock. C’è il ritornello con il coro, l’arrangiamento elegante, la strofa melodica sorretta da un groove bello tosto ritmato da una batteria finalmente vera e calda, l’assolo virtuoso e coerente: e naturalmente c’è quella voce, che mai strappa e sempre trova la dimensione adatta al brano di turno.
Insomma, potrei anche finirla qui, perché Closer to the Edge non scende di qualità lungo tutti i suoi dieci pezzi. Ma non posso esimermi dal menzionare la soffusa malinconia di un mid-tempo come I Don’t Wanna Feel The Night Is Over, o i ritornelli meravigliosi di Show Me The Way e Don’t Look Away, che vi salteranno addosso e non vi lasceranno per un bel po’ di tempo. E ancora, Irreplaceable ha un tono da cavalcatona rock che è un gran godimento, mentre One More Time è la classica ballad “veloce”, resa sensibile da una bella commistione di melodia e arrangiamento, e fa da sorella a una Angel With A Rose, che invece pare uscita dal manuale Cencelli della ballad: se nel 1991 avrebbe goduto della heavy rotation di MTV, oggi tende a perdersi nel mare delle uscite discografiche e nella troppo stantia ripetizione di un modello davvero abusato.
La title-track è un rock pieno, un po’ hard e un po’ tastieroso, sostenuto da cori ben orchestrati. Mystery è un buon pezzo tirato senza troppi acuti, mentre The Hurting One è un piacevole mid-tempo vagamente teatrale sostenuto da una scrittura di grande eleganza.
Infine, Got To Believe è un’altra ballad di esperienza che prende per mano Angel With A Rose, pur risultando di migliore qualità, in virtù soprattutto di un ottimo assolo innestato in un arrangiamento che davvero contribuisce a valorizzare al meglio un pezzo altrimenti trascurabile.
Come detto, Closer To The Edge è un bel disco, che conferma quanto già ampiamente provato dai tre album precedenti dei First Signal. Certo, come è ovvio quando si parla di Melodic Rock, si tratta di un prodotto che nasce datato; ma forse è giunto il tempo di superare il tempo e iniziare considerare questo genere come ormai assolutizzatosi, ovvero privo di ogni interpretazione relativa al momento in cui esso si manifesta. L’AOR e il Melodic Rock, così come, più ampiamente parlando, l’hard rock e l’heavy metal, vivono in un tempo sospeso, dove ormai poco o nulla cambia rispetto ai canoni fissati al più tardi trent’anni fa. Alla fine, questo è quel che volevamo: che il nostro amato genere s’eternasse, scevro dalle mode passeggere. Questo oggi abbiamo e i First Signal ce lo stanno a confermare.