Recensione: Closer to the Truth
Primo album intitolato “Closer to The Truth” per il gruppo svedese Kings Crown, fondato dal chitarrista Martin Kronlund (Gypsy Rose, Phenomena e Dogface) con l’idea (non troppo originale) di rivisitare sonorità e stile degli anni settanta riproponendoli con una produzione al passo con i tempi.
Knonlund propone a Lee Small (SHY, Sweet), con il quale aveva militato nei Phenomena, il progetto e registrata la manifestazione di interesse del cantante britannico, l’invito viene esteso ad un altro ex compagno di band, il tastierista Anders Skoog (Dogface), virtuoso dell’Hammond e buon songwriter.
Si aggiunge alla batteria Pontus Engborg (Glenn Hughes) che si tira dietro il bassista BasBerra Holmgren e i giochi sono fatti.
L’avventura dei Kings Crown può cominciare.
Si può dire a grandi linee che l’album raggiunge l’obiettivo prefissato, rievocando le sonorità del decennio ispiratore, smussate da una buona dose di melodia, ingrediente imprescindibile dell’AOR di produzione scandinava, in un tourbillon di rimandi, evocazioni e suggestioni.
Negli episodi (non troppo frequenti) in cui sotto la rilassante superficie melodica si agitano sonorità crepuscolari, foriere di inquietudini e turbamenti, si può intravedere quello che i Kings Crown potrebbero diventare, ammesso che il progetto preveda un seguito.
Buona la partenza con “It’s Too Late” in cui vengono senza indugio chiamati in campo i Whitesnake in un brano che registra un interessante assolo di Ander Skoog dal sapore prog.m“Servant” con le sonorità romantiche che la contraddistingue, pur avendo la medesima carica melodica, inizia a lasciare assaporare la sostanza dietro l’apparenza.
“Still Alive” contrappone l’ancora più netto richiamo al gruppo di Coverdale al tipico Hammond sound dei Deep Purple, mentre “Standing On My Own”, brano vario con un fraseggio assolutamente accattivante, propone sonorità Rainbow più vicine agli anni ottanta che al decennio precedente.
“Stranger” è una traccia dal profondo colore viola in cui l’organo di Skoog la fa ancora una volta da padrone con tanto di citazione diretta dello stile targato Ritchie Blackmore.
“Down Below” è un brano serrato, duro ed essenziale, appena ingentilito dal chorus orecchiabile, in cui i Kings Crown, per la prima volta, riescono a tirar fuori la propria personalità.
Dopo i riusciti esercizi stilistici di “Stay The Night” e “Closer to the Truth”, che offrono scontate gradevolezze, “I Will Remember” segna un cambio di direzione.
Assieme alle successive “Don’t Hide” e “Darkest of Days” la parte finale dell’album introduce elementi soul che ricordano, anche nell’interpretazione di Lee Small, lo stile di Glenn Hughes
I Kings Crown, a cui bisogna dare atto della capacità di creare un efficace muro sonoro, reso compatto dall’azione di Anders Skoog che occupa ogni spazio libero, si muovono in “Closer to the Truth” entro i confini di una comfort zone abilmente delimitata.
Detta scelta che ha il pregio, grazie a sonorità stra note, di mettere l’ascoltatore immediatamente e del tutto a proprio agio, induce, però un certo senso di artefatto…