Recensione: Cloven Hoof

Di LeatherKnight - 11 Dicembre 2002 - 0:00
Cloven Hoof
Band: Cloven Hoof
Etichetta:
Genere:
Anno: 1984
Nazione:
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84

Autorevoli partecipanti di quella magica, irripetibile, rivoluzione di note e colori che ben presto prese il nome di New Wave of British Heavy Metal, i Cloven Hoof riuscirono a distinguersi dall’eterogeneo mucchio grazie ad una serie di carte vincenti che ponevano ottime premesse, purtroppo però mai concretizzatesi quanto avrebbero meritato.

Dalla contea di Stafford (in piena Black Country, nella parte occidente del centro dell’Inghilterra) quattro giovani guerrieri infernali-futuristici lanciarono il loro grido di battaglia assumendo connotati indiscutibilmente peculiari.
In primo luogo i nostri eroi adottarono come pseudonimi gli appellativi dei quattro elementi naturali(Fire: chitarre; Earth: batteria; Water: voce; Air: basso); a questo si aggiunge l’uso di costumi molto teatrali e la trattazione, a livello lirico, di tematiche per lo più legate al mondo degli Inferi e dell’Occultismo.
Sì, come i più attenti avranno già intuito, assieme ai maestri assoluti Venom, in compagni di Witchfynde, Angel Witch, Hell (mega-kult!) ed altri mitici acts, i Cloven Hoof facevano parte del “lato oscuro” della NWOBHM. Hell yeah!

I quattro ragazzi di Wolverhampton riuscirono nell’impresa di attrarre verso di sé l’attenzione di pubblico e stampa grazie allo stravagante fascino del loro 7” autoprodotto di debutto: “The Opening Ritual” (ora preziosissima rarità).
Dopo qualche tempo, i nostri amici firmarono per al Neat Records e ben 2 anni dopo si riuscì a pubblicare il loro disco omonimo.

Anche il sound plasmato da queste quattro menti unite insieme non era per nulla scontato. Il segreto del loro stile consisteva fondamentalmente nel saper creare un’alchimia fantastica di suoni ed atmosfere decisamente uniche.
Ci troviamo davanti dunque un classic metal puramente inglese, scandito da un incedere cadenzato e molto solido (in un certo qual modo “sabbathiano”) e caratterizzato essenzialmente dal violento contrasto tra l’abrasività ritmica e le melodie stratosferiche che si accavallano e si rincorrono lungo tutti e sette i brani di questo fantastico lp.

Da notare però che il loro approccio spigoloso, secco, poco convenzionale ed evocativo cozzava abbastanza violentemente contro l’orecchiabilità delle ritmiche e le travolgenti melodie delle bands del periodo (Iron Maiden, Satan, Grim Reaper, primi Tokyo Blade, Raven, Saxon e via dicendo..). Ciò da una pare li contribuì a dare spessore alla loro personalità, ma d’altro canto non fece guadagnare ai Cloven Hoof quel forte interesse da parte del pubblico che avrebbe premiato, più generosamente di quanto è stato fatto, il loro successo dell’epoca e il bilancio complessivo della loro carriera.

Con la consacrazione su lp, i Cloven Hoof affiancarono ai loro mistici pseudonimi anche i rispettivi nomi e cognomi; anche il look perse un po’ della sua particolarità. Il fenomeno Venom nell’84 aveva dato il meglio di sé in patria infatti; iniziando, d’altra parte, ad impartire concretamente lezioni ai giovani musicisti del resto del mondo (Mercyful Fate, Celtic Frost, Ripper, più tardi Sodom e centinaia di altre bands in Europa, USA e non solo).
Anche la musica risentì di questo cambiamento, ma di differenze realmente corpose non se ne avvertono rispetto a “The Opening Ritual”. I Cloven Hoof puntarono su uno stile più classico e meno stravagante, ma più che un passo indietro lo si deve vedere come un salto in avanti; l’equilibrio tra gli elementi dark/epic poggia adesso su un contesto meno ostico e inconsueto, raffinando di molto la personalità musicale dei quattro diabolici guerrieri della NWOBHM.

La varietà di brani ed idee è in questa occasione assai variegata e costantemente ad alti livelli di creatività. La loro furia apocalittica non conosce limiti né ritegno: l’omonima traccia di apertura parte come un brano marziale ed oscuro, per esplodere letteralmente in una missione di distruzione divina, con David Potter che esordisce urlando con il suo timbro roco “The House of God has been Violeted!!” e da lì in poi parte un brano epicissimo, dannatamente cadenzato, che si fregia di un guitarwork essenziale e molto efficace, cambi di tempo azzecatissimi, passaggi atmosferici da brivido ed un pathos che ha dell’incredibile!! Stupendo l’assolo spargisangue ad opera dell’ascia di Steve Rounds che macina riff su riff intrecciando con gran gusto melodia ed aggressività in un alone di epica maestosità.

Più diretta e aggressiva è la successiva “NightStalker”, dotata di un refrain molto coinvolgente; seguita a sua volta da una strumentale, “March of the Damned”, tanto solenne quanto lenta. “March..” si rivela dunque un ottimo éscamotage tecnico per introdurre a sua volta l’articolata “Gates of Gehenna”, brano diviso in ben quattro parti che canta della dannazione eterna negli abissi dell’Oltretomba a suon di riff ultra cromati ed una prestazione over the top del già citato singer.
Con “Crack the Whip” e “Laying Down the Law” i Cloven Hoof ci portano adesso su territori stilisticamente più classic, con Kevin Portney e Lee Payne che rivalorizzano il potenziale della loro dinamicità ritmica; mentre Potter e Rounds ricercano un approccio melodico molto più diretto di quanto già fatto (specialmente in “Laying Down the Law”).

Nella conclusiva “Return of the Passover” (ossia “Il Ritorno dell’Angelo Sterminatore”), i Cloven Hoof infliggono il colpo di grazia e ci lasciano esanimi per terra, di fronte ad una dimostrazione così fantasiosa, spietata e convincente di heavy metal dalle fosche tinte oscure ed epiche, così genuinamente britanniche.

Diversi anni fa, la malfamata Reborn Classics ristampò in un unico cd le prime due releases dei CH in un unico cd. Non dimenticando che si tratta di una versione assolutamente non ufficiale -quindi illegale-, le registrazioni lì contenute soffrono di una resa sonora orrenda, che non paga giustizia al valore dei brani. Questa è un po’ una costante del catalogo Reborn Classics comunque, lo sappiamo, ma al momento non ci sarebbero motivazioni valide per cercare questa versione in cd.

Infatti recentemente la Neat Records (del gruppo Noise/Sanctuary) ha ristampato in compact disc “Cloven Hoof”, arricchendolo addirittura di bonus tracks assai rare. In più il booklet è un mini-poster (tipo “Louder Than Hell” e “Triumph of Steel” dei ManOwaR, “Una Vita per il Rock” della Strana Officina, ecc..) arricchito dal commento dell’ex penna di Kerrang! Malcom Dome. Per quanto scontata, la sua analisi del mito Cloven Hoof non è per niente male e trova spunti interessanti. Le bonus tracks sono un must per tutti i fans della band; un prezioso regalo per gli altri.
Se trovate il vinile vi aggiudicate un ottimo pezzo da collezione; la ristampa in cd (decisamente più economica e facile da reperire) costituisce un ottimo compendio storico-musicale di questa leggendaria band britannica.

Comunque vinile o compact disc, scegliete voi: quello che non cambia assolutamente è il grande, magico valore di un disco straordinario di un’altrettanto leggendaria formazione-culto che ha scritto una stupenda, indelebile, pagina della prodigiosa storia dell’Hard and Heavy.

Leopoldo “LeatherKnight” Puzielli

1) Cloven Hoof
2) Nightstalker
3) March of the Damned
4) The Gates of Gehenna
5) Crack the Whip
6) Laying Down the Law
7) Return of the Warrior

bonus tracks (“BBC Friday Rock Show Sessions: 10/6/83”) della ristampa del 2003
8) Laying Down the Law
9) Crack the Whip
10) Road of Eagles

nota del recensore
In questa che sarebbe la mia centesima recensione su questo portale, che ho visto crescere dall’inizio e con cui sono cresciuto io stesso, non vedo occasione migliore (album/situazione) per ringraziare pubblicamente tutti coloro che hanno buttato sangue per mantenere vivo questo sito ed in particolare il mitico Roberto “Keledan” Buonanno per aver creduto in questo progetto e per avermi dato la possibilità di togliere, per quanto possibile, dall’anonimato dischi e personaggi del passato e del presente, entrambi autori di grandissime prestazioni in nome dell’Heavy Metal più sincero e onesto. KILL AND KILL

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