Recensione: Cock Rockin’
Viziosi, grezzi, alcolici, ruvidamente ignoranti. Come non provare un’immediata simpatia per questa coppia di barbuti cialtroni provenienti dall’entroterra australiano?
Quando si dice musica che “spazza” il cervello e parla prima al fegato che a tutto il resto: il debut album dei Jackson Firebird, al secolo Brendan Harvey (Chitarre e Voce) e Dale Hudak (batteria), è un concentrato di rock n’roll ispido e pungente, selvaggio, antico – quasi primordiale – nei suoni, che non prende in minima considerazione l’idea di proporsi con gentilezza ed eleganza.
Insomma, hard n’roll nell’accezione più genuina del termine, con chitarre secche e dirette, basso a “tuono” ed un sound di batteria che è spettacolo nello spettacolo, opera di un “giullare” delle pelli come mr. Hudak, un soggetto che adopera in guisa di drum kit ogni cosa possa capitargli a tiro. Dallo sgabello in legno al tavolino di plastica, passando per sedili in pelle e bidoni dell’immondizia: ogni cosa è utile e funzionale nel tenere il ritmo impetuoso dei brani.
Ad ascoltarli le prime volte, si direbbero una coppia di avvinazzati compagnoni che si divertono a strimpellare qualche grossolano inno rock dall’assassino taglio sudista. Un’impressione immediata che cela tuttavia una notevole dose di spontaneo talento. Di Hudak – una sorta di fenomeno da circo – s’è detto, di Harvey rendicontiamo senza troppi giri di parole: un chitarrista essenziale, schietto e verace come potrebbe essere un Angus prima maniera. Dotato però, di un istinto mortifero per i riff e gli accordi di chitarra che coniugano il rock blues ciondolante un po’ Hendrixiano, con le svisate sudiste dei Gov’t Mule, accese da improvvise accelerazioni di slide guitar. Con in più, una voce incisiva, a tratti quasi beffarda, compresa tra la grinta di un vecchio eroe southern e l’irriverenza di un rapper newyorkese.
Un quadro che mette in fila gli elementi utili nel confezionare una serie di canzoni dal taglio diretto e succinto. Nulla di pensieroso o da “capire”: l’essenza sostanziale del rock, che dialoga, certo, con il cuore, ma poi – come anticipato – colpisce al fegato ed alle gambe.
In una tracklist di soli dieci brani per poco più di trentacinque minuti di durata, lo stile si prospetta come omogeneo e condiviso lungo l’intera scaletta senza divagazioni: sono quattro però le perle che, nella crudezza di riff diretti e selvaggi, spiccano oltre misura.
Impossibile non citare la folle title track, bluesy rock n’roll rapido come un treno in corsa con un testo minimale e l’approccio che potrebbe aver avuto Chuck Berry se avesse jammato con gli Ac/Dc (a dir poco delirante il video clip!).
Imperative, nell’economia dell’album, la ruvidissima ed esuberante “Little Missy”, seguita a ruota dalla straordinaria “Can Roll”, un inno dal ritmo irresistibile che spinge il volume a livelli da terrorismo sonoro.
Ed ugualmente d’impatto la cadenzata “Goin’ Out West”, pezzo in cui Hudak abbandona la batteria classica a vantaggio di varie suppellettili domestiche…
Un’immediatezza che si fa trascinante e riesce a divertire davvero parecchio, quella offerta dai Jackson Firebird: southern, blues, rock n’roll ed un pizzico di Beastie Boys per una miscela dirompente, dotata di grandissima “fisicità”.
Fondato già nel 2006, il gruppo che trae il proprio moniker da un celebre modello di chitarra della Jackson, è arrivato al contratto discografico molti anni dopo, per una pubblicazione di “Cock Rockin’” avvenuta per il solo mercato nazionale nel corso del 2012.
Onore quindi all’austriaca Napalm Records, label che con buona prontezza ha saputo scovare questo lapillo di strafottente rock n’roll dall’altra parte del globo, rendendone disponibile l’opera di debutto a livello mondiale.
Viziosi, grezzi, alcolici, ruvidamente ignoranti. Ma soprattutto capaci di divertire e trascinare.
Come non essere irrimediabilmente attratti dai Jackson Firebird?
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