Recensione: Codex Babalon

Di Giuseppe Casafina - 17 Luglio 2016 - 13:18
Codex Babalon
Band: Caronte
Etichetta:
Genere: Doom 
Anno: 2016
Nazione:
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75

Oscuro, ipnotizzante, folle, distruttivo.

Il nuovo rituale, il nuovo sabba occulto dei nostrani Caronte é quanto di più viscerale ed ammaliante mai capitato alle mie orecchie negli ultimi mesi, parlando di proposte del nostro Bel Paese: in fondo, i nostri eroi del metallo tricolore hanno da sempre avuto ben poco (almeno secondo illuminate menti esterofile) se non proprio nulla in meno rispetto a tante altre grandi proposte che vengono da oltre confine.

La liturgia questa volta si suddivide in un gustoso EP composto da tre, lunghissimi (per gli standard di un EP) pezzi: tre laceranti litanie ritualistiche dall’incedere magico, sacrale e magnetico, a cui ben si fonde un ricercato gusto per la melodia, sempre oscura e mai incline al raggio di luce ed alla speranza velata di bianco. Qui siamo al cospetto di una evocazione di tutto ciò che é nascosto, oscuramente celato nei meandri dell’Altrove, un Altrove che i Caronte inseguono disegnano disperate sinfonie di un suono volutamente catacombale, ovattato dall’oscurità, preziosamente confuso dalla nebbia da loro stessi evocata tramite parole arcane, proprie di un linguaggio disperso nei meandri di un passato che ormai interessa solo a pochi.

Partendo dai lentissimi sussulti di ‘Invocation to Paimon’, dove pare di ascoltare i primi Saint Vitus sotto acido nel bel mezzo di pratiche occulte, dove le sette note sono una sinfonia proveniente dall’oltretomba e le parti vocali, sempre avesse alla costruzione melodica ma dal fare disperato, si abbandonano ora a lamenti ritualistici pullulanti di sofferenza, ora ad arcani e quasi incomprensibili sospiri cerimoniali. I riff, sempre all’altezza, sono la perfetta trasposizione della ricerca dell’ignoto sotto forma di sei corde mentre i tempi di batteria, come da tradizione lenti e soffocanti, sono il saggio cammino verso il buio di un discepolo incantato da ciò che esiste ma non si vede….e questa essenza lo chiama a se, lo ammalia con fare serpentino stringendosi attorno al suo corpo e ispirando nella sua mente canti di siffatta quanto oscura bellezza.

La produzione é meravigliosamente sporca, polverosa eppure ricolma di ambienze ricercate che donano alle tre composizioni quel sapore mistico tanto ricercato nelle intenzioni di questi devoti dell’ignoto: a seguire ‘Elixir Rubeus’ e ‘Rites of High Theurgy’ si muovono sulle medesime coordinate, ma esasperando la asfissiante pesantezza che ora, al confronto, nel pezzo di apertura pareva solo accennata, come un cammino in crescendo verso un centro pulsante sempre più ambizioso da raggiungere.

Arrivare fino alla fine di “Codex Babalon” equivale ad intraprendere un breve viaggio verso l’Oltre, un viaggio bellissimo che sarebbe profano terminare se non arrivando fino alla sua fine, perché questo é quello che desiderano i nostri Eroi dell’Abisso.

Emozioni allo stato puro, troppe parole sarebbero sprecate: amanti della lentezza angosciante del Metal del Destino, fatelo vostro, perché i Caronte saranno le vostre nuove Guide verso il Nulla Maestoso.

Troppa bellezza tra questi solchi.

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