Recensione: Coherence
Difficile trovare le parole per approcciarsi a “Coherence”, quinto album degli australiani Be’lakor. Album che esce a cinque anni dal favoloso “Vessels“. Attesa lunga, sarà stata ripagata?
Ecco, senza volerci girare attorno troppo a lungo e fiondandoci direttamente con il blocco che ci impedisce di trovare parole adatte in apertura, diciamo subito “in parte”.
Ora, chi conosce il quintetto proveniente dall’emisfero australe, nel corso degli anni si è fatto un’idea di cosa aspettarsi. Un metal a chiara matrice melodica, ma molto complesso e strutturato. Lunghe composizioni, melodie facili ma non banali, lunghe digressioni che stridono l’occhio al progressive.
E in effetti, i primi ascolti di “Coherence”, danno esattamente l’idea che Kosmas e soci abbiano fatto centro per l’ennesima volta. Durante l’ora quasi spaccata di ascolto (l’album dura 60 minuti e 2 secondi), nelle nostre orecchie prende forma un album oscuro e perfetto. Il pensiero più frequente è proprio quello che i Be’lakor abbiano incocciato il disco definitivo, quello della piena maturità.
Tutto è al posto giusto, tutto è prodotto alla perfezione (la produzione non è iperpompata, è proprio giusta per la musica dei Be’lakor).
Stai lì, aspetti la scintilla che faccia scattare l’amore viscerale per il disco – cosa che con gli australiani ci mette sempre un po’ di tempo.
Poi però succede una cosa. È un giorno che devi lavorare parecchio, quindi ti fai un playlistone con 5 o 6 album e vai. Ascolti, ma non sempre con un’attenzione alle stelle. Capisci che un album finisce e un altro inizia. Se l’album lo hai sentito un po’ di volte lo riconosci anche. Ecco. In questo caso “Coherence” è stato riconosciuto con il riff di entrata di “Valence”. Non esattamente bruscolini. “Valence” è la quarta traccia del disco (e probabilmente è la migliore). E il disco stesso è ormai quasi al minuto 20, al momento del riff.
A questo punto, per magia, la percezione dell’album cambia.
Lo risenti, perché è impossibile. Ma invece è così. Alla lunga “Coherence” si rivela un disco molto freddo e distante. La opener “Locus”, costruita con tutti i crismi che possono unire gusto del melodic death all’intrico del prog death. Ma dopo 10 minuti ti rendi conto di essere rimasto con un pugno di mosche. Non ti lascia dentro granché.
Questo vale, comunque, per le prime tracce. Superata la già citata “Valence”, il disco prende effettivamente quota, ma rimane un disco prettamente di mestiere. E i Be’lakor di mestiere ne hanno parecchio, per cui riescono a regalarci diverse composizioni più che apprezzabili, sebbene abbiano un cuore di ghiaccio. Laddove “cuore di ghiaccio” non è un complimento come potreste trovarlo in un disco viking.
C’è chi ritiene l’epopea discografica dei Be’lakor una parabola discendente. Noi non condividiamo affatto. Resta però il fatto che “Coherence” è un disco in bilico tra due elementi contrastanti. Da un lato troviamo la piena maturità a livello tecnico, una perizia e un lavoro di cesello di qualità quasi impareggiabile. Di contro, ci troviamo innanzi a un disco con assai poca anima, fatto quasi a tavolino.
Per ora la tecnica e la classe dei Be’lakor bastano a garantire al loro nuovo nato una sufficienza anche molto abbondante. Però qualche ombra sul futuro la gettano.