Recensione: Cold Comfort
Gli Autumn sono una band olandese attiva dal 1995, ma giunta al traguardo del primo full-length solo nel 2002. Nove anni dopo, con questo “Cold Comfort”, pubblicato lo scorso novembre dalla metal blade, sono ormai giunti al quinto album in studio. Va detto che se non fosse per le linee vocali femminili di Marjan Welman, entrata nel gruppo quattri anni or sono, sarebbe molto difficile far rientrare il gruppo nel filone gothic. Perché, seppur molto derivativi, gli Autumn sono riusciti pian piano ad elaborare uno stile abbastanza personale, che contamina un certo tipo di gothic, quello più ricercato, con il progressive metal e alcuni elementi del rock più raffinato e alternativo.
Per capire meglio il tutto è bene immergersi in questa loro ultima fatica.
“Cold Comfort” è un titolo molto azzeccato per descrivere l’indole introspettiva creata dal gruppo olandese, ma, soprattutto, è quello che io amo definire un disco da secondo ascolto.
Messo sul piatto e ascoltato una prima volta, “Cold Comfort” si presenta come un lavoro ben fatto e ben suonato, molto omogeneo a livello sonoro. A differenza dei dischi cardine del gothic olandese, quelli degli Epica e degli After Forever, rifugge il ritornello immediato, le produzioni bibliche, le tastiere wagneriane e le voci femminili operistiche. Questo può essere certamente un pregio per una band che ha scelto di non cavalcare l’onda ed inseguire un facile successo. I riferimenti più facili da riscontrare sono invece i Gathering dell’ultimissimo periodo, anche perché la voce di Marjan Welman somiglia incredibilmente, per tono e per modo, a quella di Silje Wergland. Poi vengono in mente i primi Lake of Tears, gli End of Green o i Katatonia, ma si può essere fuorviati dal plumbeo artwork. Comunque, in definitiva, al termine del primo ascolto, l’idea che ci si forma in mente è quella di un gruppo con buone intenzioni, ma scarso mordente, di un disco sì fatto bene, ma eccessivamente omogeneo, se non, addirittura, un po’ monotono.
Al secondo ascolto, però, qualcosa scatta, o meglio, nelle orecchie avete tutt’altro disco.
Un disco che è dotato di una sua particolare, malinconica, atmosfera e di un suo particolare, malinconico, fascino, con una forza difficile da spiegare. Ed il motivo è abbastanza semplice: molte canzoni si sviluppano su un unico, semplicissimo riff ripetuto all’infinito, a turno, dai vari strumenti. È il caso dell’indolente opener “The Scarecrow”, canzone autunnale per antonomasia, oppure della ben più veloce “Naeon”, dove compaiono piccoli spruzzi di elettronica, sicuramente il brano migliore del disco, vagamente simile a “A Constant Run” dei sopracitati Gathering. O ancora la successiva ballata, “Truth to Be Told”, con un suo sapore dolce amaro e l’unico ritornello veramente costruito per uccidere.
Canzoni così concepite passano in un primo momento inosservate, poi però il giro di tastiera/chitarra vi perseguita per diverse ore, se non per giorni interi.
Per il resto il disco prosegue così, tra brani tirati come la title track e “Black Stars in a Blue Sky”, o brani più lenti come “Alloy” e “End Of Sorrow”. Forse è questo l’unico piccolo difetto del disco, ovvero quello di dare troppo spazio a canzoni oscure, lente e malinconiche (5 su 9) che alla lunga possono venire a noia e che forse impediscono al gruppo un piccolo salto di qualità.
Un piccolo difetto che tuttavia non va ad alterare il giudizio complessivo su una band che testimonia di avere una sua personalità e una sua originalità.
Marjan Welman – vocals
Jeroen Vrielink- bass
Jan Munnik – keyboards
Jan Grijpstra – drums
Mats van der Valk – guitar & backing vocals
Jens van der Valk – guitar & backing vocals
Tracklist:
01 The Scarecrow
02 Cold Comfort
03 Black Stars in a Blue Sky
04 Retrospect
05 Alloy
06 End of Sorrow
07 Naeon
08 Truth to Be Told (Exhale)
09 The Venamoured
Tiziano “Vlkodlak” Marasco