Recensione: Cold Inside
Secondo i Wolfthorn è giunta l’ora di regalarci il terzo full lenght della loro breve ma produttiva storia, fatta di tre album e varie release di minore consistenza; omaggio sempre gradito perché “a caval donato non si guarda in bocca” (soprattutto se black), ma che non segna una tappa epocale nella storia del genere.
Entrando nella spettrale cattedrale che troneggia oscura il cimitero antistante, si varcherà la soglia d’una dimensione musicale di devozione al più tagliente metal nero di stampo nordico, gelido come un vento che attraversa la pelle e che giunge alle ossa, facendosi largo con sonorità elettriche abrasive e sfacciate come il suono delle chitarre di Cold Inside. A ben guardare, le osservazioni potrebbero terminare qui e volendo accontentarsi di freddo e monoliti ghiacciati il disco potrebbe risultare godibile; bramando invece qualche velleità in più si rischieranno cocenti delusioni.
Dopo appena due brani, il piatto piange sconsolato su una distesa di riff lunghi e schematici, ripetizione di varie idee ampiamente assodate, che nulla potranno per donare brillantezza a dieci capitoli ricchi di feeling univoco e spunti altalenanti. Ad aggiungersi alla strutturazione minima è lo scream ordinario, classicheggiante e monocromatico che gracchia su temi perlopiù serrati ma alla lunga pedanti, lasciati a boccheggiare da un drumming elementare e ripetitivo che sigilla irrimediabilmente il capitolo songwriting.
In ogni caso, apprezzando il genere musicale e conoscendone i conclamati limiti, non si può bollare Cold Inside come “frisbee ottico”, perché quello che gli manca è solo una verve minima che permetta di staccarsi dall’anonimato nel quale cade dopo poco, per prendere sporadiche boccate d’aria durante “Cold Inside”. Qualche spunto interessante, se rapportato al grigiume generale, fa capolino anche sul finale con le track più datate, sonoramente confuse ma più sanguinolente anche se imprecise, maggiormente caratterizzate e “variegate” pur restando legate allo stile di Thurlokh (il leader maximo della band). Un mix riuscito per il 2004 dei Wolfthorn sarebbe potuto nascere dalla fusione tra il sound dei primi brani e la maggiore varietà del campionario più vecchio; con le fattezze attuali, nemmeno la natura di collage storico del platter riesce ad ovviare veramente alla sua scarsa sostanza. Per completezza, segnalo che, su dieci composizioni, sei sono inediti creati dal 2003 al 2004 mentre “Thy Flame” (riedizione di “Summoning His Rise” tratto da Spiritual Supremacy), “Massgrave” e “New era has risen” vengono ripescate da registrazioni del 2002. La traccia “Wizard Of Black Winds” è una riedizione di un pezzo demo del 2001.
Disco sicuramente sincero ed interpretato con velleità che privilegiano il feeling, secondo un rituale che stavolta non funziona del tutto per la consistenza di mancanze strutturali evidenti, lasciando Cold Inside troppo esposto a critiche sulle quali mi è difficile soprassedere.
Tracklist:
01. Join the Legions
02. Moonfields
03. Wizard of Black Winds
04. To the Cold Void of Time
05. Led by Blazing Eyes
06. In His Name, for his Glory
07. Cold Inside
08. New Era Has Risen
09. Massgrave
10. Thy flame