Recensione: Collision Course… Paradox II

Di Mauro Gelsomini - 26 Marzo 2008 - 0:00
Collision Course… Paradox II
Band: Royal Hunt
Etichetta:
Genere:
Anno: 2008
Nazione:
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78

Atteso inizialmente per la fine dello scorso anno, il nuovo album dei Royal Hunt, “Paradox II… Collision Course”, doveva celebrare il decennale dall’uscita del suo predecessore, quel Paradox del 1997 che non lasciava affatto presagire un “to be continued…” nel pur controverso soggetto. In realtà l’attenzione maniacale del mastermind Andre Andersen per la produzione ha fatto slittare la data di release di qualche mese, anche in considerazione del fatto che l’aspetto pomp è magnificato dalla presenza importante di cori – con voci femminili, più che nel passato – e arrangiamenti di archi e fiati, dai sei mesi di lavorazione presso gli studios, EMI (responsabili del mixaggio finale) su tutti, e dalle partecipazioni illustri di personaggi del calibro di Doogie White (Rainbow, Y. Malmsteen), Ian Parry (Elegy, Consortium Project), Kenny Lubcke (Jokers Wild, Narita) e dal vecchio bandmate Henrik Brockmann.

Con l’avvicendamento dietro il microfono tra John West e il nuovo singer Mark Boals, molti erano i dubbi circa la prosecuzione di un progetto che aveva mostrato qualche schricchiolio in occasione delle ultime due studio release, Eye Witness e Paper Blood.

In realtà il “ritorno all’antico”, almeno per quel che concerne atmosfere e contenuti lirici, potrebbe, essere visto come un “correre ai ripari”, che nella maggior parte dei casi si risolve in un buco nell’acqua (chi ha detto “Operation: Mindcrime 2”?), ma l’iniezione di fiducia si deve prima di tutto al concept, che si concentra sull’interessante contrapposizione tra l’occidente moderno e le nuove realtà religiose orientali.

Il sound Royal Hunt non è snaturato, tutt’altro, abbiamo sempre a che fare con i neo-progressive metal dei maestri danesi, ben congegnato negli hook dei ritornelli – che erano stati la pecca riscontrata talvolta nelle ultime composizioni – e curatissimo negli arrangiamenti, la cui presenza, sempre raffinatissima, è sensibilmente aumentata, quasi a invadere il terreno occupato di diritto dagli strumenti principali. Chi fa più le spese di questo ingombro è indubbiamente la voce solista, la cui presenza è diminuita rispetto ad un passato in cui, peraltro non era mai stata troppo evidente.
Boals del resto fa il suo, da grande esecutore qual è, ma bisogna annotare una flessione nell’aspetto emozionale/evocativo fornito dall’interpretazione del frontman. D’altra parte, come già accennato, i ritornelli e i bridge sono più accattivanti e trascinanti, e la loro iper-melodicità smussa un po’ questa lacuna espressiva. A fare il resto del lavoro pensano le magniloquenze delle chitarre e delle tastiere, e del già citato livello stellare della produzione.

Difficile estrapolare una song quale highlight dell’album, essendo il songwriting particolarmente omogeneo, ma dovendo indicarne un paio mi orienterei sulle tracce dall’impatto più heavy, “The First Rock” e “Blood In Blood Out”.

Per chiudere, una decisa sterzata nella direzione di risalita. Bravi Royal Hunt!

Tracklist:

  1. Principles of Paradox
  2. The First Rock
  3. Exit Wound
  4. Divide and Reign
  5. High Noon at the Battlefield
  6. The Clan
  7. Blood In Blood Out
  8. Tears of the Sun
  9. Hostile Breed
  10. Chaos A.C.

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