Recensione: Colony Collapse Disorder

Di Daniele D'Adamo - 22 Aprile 2013 - 19:49
Colony Collapse Disorder
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Anno: 2013
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Fra le varie forme di contaminazione che, via via correndo nel tempo, hanno trovato maggior adesione al death metal c’è, senza dubbio, quella dell’elettronica. Non solo sotto forma di musica vera e propria ma anche attraverso inserti ambient dal forte sapore tecnologico o, meglio, cibernetico; sì da colorare di gelido silicio gli spartiti di band seminali fra le quali, primi fra tutte, campeggiano i Fear Factory. L’unione fra l’aggressività del death e la fredda sequenza del codice binario sembra davvero un sodalizio inscindibile che, presumibilmente, fonda la sua natura molto più a fondo di quanto si pensi, nella mente dei compositori e degli ascoltatori di “Demanufacture” e seguenti.     

A basare il proprio lavoro su queste consolidate coordinate ci sono anche i veneti Craving Terror. Nati nel 2009, ai Nostri è bastato un solo demo, “Get Out From Me” (2010), per farsi notare in giro. Così, dopo il contratto con la Jetglow Recordings, nel marzo di quest’anno è giunta l’ora pubblicare il debut-album, “Colony Collapse Disorder”, che si può definire padovano al 100% giacché, oltre alla stessa formazione e alla label, è stato registrato, missato e masterizzato ai Rocketbooster Studio della città euganea.
 
“Colony Collapse Disorder” non rappresenta, tuttavia, ‘solo’ un’alterazione dei principali tratti distintivi del death metal con una o più successioni di campionamenti digitali: si tratta, infatti, di una vera e propria fusione completa fra il caldo sound che possiede una manifattura analogica e quello, raggelante, proveniente dalla sintetizzazione armonica. La definizione ‘cyber death metal’, allora, assume in questo caso il significato di ‘vero’ nell’accezione filologica del termine; fermo restando che la matrice identificante il metal estremo presenta uno spessore tale da tenere a debita distanza l’industrial di gente come i Mechina o gli Id:Vision. Il lavoro di Paolo Passalacqua al sintetizzatore è senza dubbio invasivo e stratificato ma, come contropartita, subisce l’aggressività del violentissimo growling di Mattia Zambon che, d’inumano, ha solo la feralità e non la meccanicità. Meccanicità che, invero, si trova a piene mani nel drumming di Enrico Santato e, anche se in misura minore, nel guitarwork della monolitica coppia d’ascia Francesco Zagato/Gaetano Bettella, con il basso di Marcello Monetti a fare da ago della bilancia fra ‘umanità’ e ‘non-umanità’.

In tal senso, quindi, occorre riconoscere ai Craving Terror di aver saputo dar vita a una creatura, cioè il proprio stile, sicuramente interessante poiché ricco di sfaccettature e caleidoscopiche visioni, capaci rendere visibile l’ineluttabilità di un destino senza speranza per il genere umano; ottenebrato da una cupa incapacità di ragionare da sé, evitando «false promesse» e «vuote speranze». La pressoché completa assenza di melodie tipo quelle elaborate da Burton C. Bell, del resto, contribuiscono fattivamente a rendere arcigna come poche la resa sonora di “Colony Collapse Disorder”, pesante come un macino sì da essere un gravame quasi insostenibile per la mente. E qui, probabilmente, è insito il punto debole del disco. La mancanza di rifugi nei quali ci si possa nascondere dall’oppressione di un sound sempre coerente con se stesso ma monocorde comporta, a medio termine, l’insorgenza di un vago senso di noia. Una percezione che, purtroppo, vanifica un po’ quanto fatto di buono da Zambon e soci in termini di costruzione stilistica. Tanto per fare un esempio al contrario, “Wrong Epilogue” potrebbe identificarsi per loro come ‘song ideale’: uno splendido incipit che richiama visioni futuristiche à la Blade Runner lascia il passo a un incedere tanto possente quanto automatico, venato da allucinati screaming e intarsi cyber-ambient che assolvono bene il loro compito evocativo. Il resto del lavoro, seppur costantemente sopra la sufficienza, manca però di ‘quel qualcosa in più’ tale da fare sobbalzare chi ascolta sulla sedia. In grado, in altre parole, di rendere memorabile “Colony Collapse Disorder”.

Trattandosi di un’Opera Prima e data la manifesta bravura nel percorrere i circuiti del microprocessore che sostituisce il cuore del cyber death metal, i Craving Terror – a parere di chi scrive – non possono che migliorare. “Colony Collapse Disorder”, pertanto, è da considerarsi come una premessa a un futuro ricco di soddisfazioni.

Forza!

Daniele “dani66” D’Adamo

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