Recensione: Colors
Formatisi quasi otto anni fa a Charlotte negli Stati Uniti, i Between The Buried And Me
hanno mostrato sin da subito di riuscire a distinguersi all’interno di un panorama, quello del metal, sempre più spesso
desolante e saturo. Fautori di un progressive metal dalle tinte -core, questi cinque musicisti tornano a distanza di un solo anno dal precedente
“The Anatomy Of”, con questo nuovo “Colors”, album nel quale risultano amplificate tutte le caratteristiche che hanno portato al combo una discreta notorietà nell’ambiente, ossia grandi capacità tecniche, voglia di sperimentazione e la tipica voglia di far convivere all’interno delle loro composizioni diversi stili musicali che vanno dal jazz a stacchi in tipico stile death americano.
Questo nuovo platter si dimostra estremamente dinamico nelle composizioni ed altrettanto variegato, con continue alternanze di atmosfere rilassanti e pacate, nelle quali ad avere maggior risalto è la calda voce di
Thomas Giles Rogers Jr, compositore per altro di tutte le linee tastieristiche, come si può notare nel delicatissimo intro “The
Backtrack”, una base di piano sulla quale si posa l’ugola corposa ma delicata del singer, o ancora il finale di
“Informal Gluttony”, pezzo decisamente in bilico tra death e progressive che alterna scream/growls a clean vocals davvero da urlo.
In totale opposizione si trovano poi invece tracks molto più pesanti nella quale viene fuori la vena estrema della band e mi sto riferendo ad episodi quali la seconda
“The Decade Of Status”, un vero attacco frontale pieno di stacchi di batteria velocissimi e riffs di chitarra potenti ma dosati e mai eccessivi; ancora in questa categoria si può trovare
“Prequel To Sequence”, canzone “in-your-face” che fa dell’esecuzione perfetta e delle scream vocals i suoi punti di forza.
Il meglio del disco arriva però quando i BTBAM mostrano all’ascoltatore la loro parte più progressive, quella che maggiormente si addice alle loro capacità: è qui che il song-writing diventa particolarmente raffinato e ricercato, con una particolare attenzione a riportare alla mente i grandi musicisti del passato come accade nelle tre suites
“Sun Of Nothing”, “Ants Of The Sky” nella quale si ritrovano spunti che portano alla mente i celeberrimi Dream Theater e l’ultima
“White Walls”, tutte e tre capaci di far rivivere, nei momenti strumentali gli immortali anni ’70.
In questo quadro generale un posto al sole lo merita sicuramente il toccante strumentale
“Viridian”, una traccia decisamente più vicina a stilemi jazz fusion, che ricordano da vicino i migliori pezzi di artisti quali Frank Gambale o Shawn Lane: in questo caso ad avere un ruolo di primaria importanza risulta essere il basso di
Dan Briggs che si dimostra, oltre che ottimo esecutore, anche un musicista dotato di grande gusto e tatto.
In un quadro che sembra pressoché perfetto i nostri peccano però in freddezza, risultando in più di un frangente un poco distaccati e troppo concentrati a ricercare soluzioni musicali che li rendano il più originali possibili, mettendo da parte l’anima melodica che sarebbe stato opportuno sviluppare ancora di più.
Ottime le liriche, incentrati su temi quali emozioni personali, vita quotidiana e problemi relazionali, così come la registrazione assolutamente perfetta e bilanciata, in grado così di rendere giustizia ad ogni singolo strumento.
Per ora va benissimo così, davvero di più non si può chiedere ad una band così giovane, anzi lasciano davvero a bocca aperta alcune soluzioni, speriamo solo che continuino su questa strada, senza lasciarla, cercando solo di migliorare laddove ve ne sia bisogno.
Emanuele Calderone
Tracklist:
1. Foam Born: (a) The Backtrack 02:13
2. (b) The Decade of Statues 05:20
3. Informal Gluttony 06:47
4. Sun of Nothing 10:59
5. Ants of the Sky 13:10
6. Prequel to the Sequel 08:36
7. Viridian 02:51
8. White Walls 14:13