Recensione: Colors II
Partiamo da un semplice assunto. La discografia dei Between the buried and me è abbastanza variegata, per cui l’amore che ciascuno può nutrire per questa band varia a seconda del periodo in cui la si è scoperta. Chi li ha ascoltati a partire nel 2005 riterrà “Alaska” e “Colors” i loro vertici assoluti. Io ho cominciato con “Parallax II” e infatti lo ritengo uno dei tre migliori dischi del periodo 2010-2020. Probabile che chi è arrivato dopo (probabilmente la maggioranza) sia innamorato di “Coma eliptic” (visto come un tradimento da molti fan della prima ora) o degli “Automata”.
“Automata” in cui, dal mio modesto punto di vista, si vedeva tutta la nefanda influenza della Sumerian records, label che già prima dei BTBAM aveva rovinato malamente i Periphery. E a dirla tutta, passati un po’ d’anni, mi vien da pensare di essere stato anche parecchio generoso nel recensire il “doppietto” di Rogers e soci.
E dunque, dopo un disco, a mio modesto parere, non brutto ma plasticoso e povero di idee, che dire quando gli statunitensi hanno dichiarato che la nuova fatica discografica si sarebbe chiamata “Colors II”?
Beh pensieri d’ogni tipo. Nel mio piccolo già solo pensare a quel disco vagamente insipido che fu “Till Fjälls II” mi faceva suonare un bel po’ di sirene d’allarme.
Spaziando tra le file del grande pubblico i pensieri invece erano di vario tenore: “hanno finito le idee” e quindi “puntano a ingolosire i fan della prima ora con il titolo” poi c’è chi “per me hanno smesso di esistere con “Coma eliptic” e quindi “ma dopo album senza growl come fanno a chiamarlo con quel titolo”?
Diciamocelo pure: le premesse per fare di “Colors II” il flop del 2021 (e non solo) c’erano tutte.
Eccome se c’erano. E invece tanto per cominciare hanno buttato fuori come primo singolo “Fix the error”, per far capire che l’aria era cambiata. Poi è toccato a “The Future is behind us”, i cui primi 2 minuti effettivamente a livello sonoro sarebbero stati abbastanza bene sugli “Automata”… Solo che per qualità avrebbe fatto sfigurare tutto il resto.
E poi c’è il resto del disco.
Resto del disco che è effettivamente vecchia maniera. Si parte come si faceva una volta, con un intro bello melodico e poi “The double Helix of Extinction” ci porta DAVVERO indietro nel tempo. 6 minuti di riff cervellotici e death core (tanto) misto a psychoprog (poco) ma soprattutto tanto, vero, furibondo growl.
L’idea è che la band abbia deciso di recuperare la propria strutturatissima proposta sonora, ma che questa volta abbia puntato a fare qualcosa di molto diretto. Nonostante la lunghezza di vari pezzi. Di fatto, se escludiamo alcuni episodi, tutta la parte prog sembra asservita e funzionale a quella più violenta. In questo senso, partiamo dalle eccezioni: “Bad habits” è effettivamente un brano da “Coma eliptic”, la precedente “Prehistory” è invece una strizzata d’occhio a “Fossil Genera”.
Ma se vogliamo parlare di roba forte, andiamo ai tre pezzi che sfiorano e bucano i 10 minuti. Violenza, violenza, e un po’ di melodia che pure non contrasta con la violenza. Anzi, ne è quasi parte integrante. Le tastiere, le schiarite sonore, le clean vocals ci sono, ma sono molto “omogeneizzate” al contesto death, sicché non si notano a tutta prima. E così va a finire che “Colors II” pare un disco d’una violenza indecente.
A ben guardare, però, quest’album potrebbe essere descritto come una sorta di Parallax II, ma spogliato di ogni fronzolo melodico. O, se preferite, potremmo davvero vederlo come una sorta di anello di congiunzione tra “Colors” e “The Great Misdirect“.
Tutto gira a meraviglia. Tutto è coinvolgente, emozionante.
A riprova di questo il fatto che, nella mia incipiente anzianità, ormai mal soffro i dischi che superano i 50 minuti. Ecco, “Colors II” di minuti ne dura 78 e per tutta la sua durata non mostro segni di stanchezza né noia.
Per chi fosse dubbioso, il consiglio a questo punto è di spararvi “Never seen | Future shock”. Se le sopravvivete indifferenti, allora questo disco non ha nulla da dirvi.
Per tutti gli altri invece ci potrebbe essere un curioso cambio di sensazioni: da quella di aver aspettato il flop dell’anno per essersi trovati tra le mani un lavoro da top 5.
Bentornati Between the buried and me.