Recensione: Colostrum
Bella la scena Italiana, lo ripeterò all’infinito sino a quando i testardi non lo capiranno e andranno a supportare lo “sconosciuto”, l’underground più fertile. Le Scimmie sono una band proveniente da Vasto, nata nel 2007 che ha alle spalle un solo album ufficiale (“Dromomania” del 2011) ma che porta in seno una dote non da molti: sanno ciò che vogliono. Questo ottimo secondo album “Colostrum” non è altro che la versione europea, Italiana per la precisione, dell’eco compositivo che gli Yob hanno crearono anni addietro oltre l’oceano Atlantico. Semplice da dire, difficile da fare; sono in grado tutti ovviamente di scrivere un’album di sole quattro tracce strumentali vero? Basta dilatare i suoni, addormentarsi e dopo qualche minuto ricordarsi di cambiare posizione della mano. Che stupidi, perché non ci avevamo pensato prima? Bando alle ciance, veniamo al dunque perché chi vuole comprendere comprenda.
La “Titletrack” ci apre ad un mostro di quasi quindici minuti dove il nulla prende a braccetto l’impossibile attraverso quei riff che paiono non condurre in nessun luogo, per metaforicamente lasciarti a morire, per rilanciare la spinta nella stratosfera dell’oblio cognitivo. Un vortice di sensazioni che prende origine nell’inconscio mentre diventa meteora verso luoghi inanimati e sepolti nella memoria più remota; troviamo doom, psichedelia applicata, effetti drone e le nostre esistenze che retrocedono a gambero alla nascita del primordiale. Da applausi, silenziosi, la musica riempi i vuoti, creandoli paradossalmente per negazione. Non sono facili da descrivere certe sonorità, hanno all’interno universi creati dalla storia e dalle esperienze di una persona, di tre persone; probabilmente l’agevolazione migliore sarebbe chiudere qua, salutarci e dirvi, andate e ascoltatene tutti questa è l’Italia silenziosa in d(r)ono per voi. Ma che senso avrebbe dunque questa recensione? Echi di Ufomammut, i Sunn O))), i già citati Yob e lontane sfumature dei vecchi Neurosis condensati in quattro brani. “Triticum”, “Helleborus” sono tracce che nella loro vastità, se proporzionate all’iniziale, offrono notevoli spunti interessanti al proprio arco; l’omogeneità e la monolitico della struttura compositiva riescono a far sembrare “Colostrum” quale una lunga ed intensa traccia con molti cambi tempo.
I difetti, se così definibili all’interno di “Colostrum” sono il grande potenziale percepibile e sviluppato non a pieno, come se mancasse qualcosa per andare al gradino superiore, ma di fretta non ne abbiamo e il tempo è tutto da parte del gruppo. Anche la produzione tende a non lasciare scorgere la personalità ricercata dentro le partiture, i suoni sono leggermente standardizzati ma freschi, potenti, con un’amalgama decisamente versatile e dinamica. Terzo ed ultimo punto e non me vogliate, è quel sentore che in alcuni passaggi risieda la necessità di un vocalist; l’originalità della band sta nell’essere completamente strumentale, ma lo sappiamo tutti che questa musica, se rafforzata da scream o growl, salta al livello successivo in un lampo. Vedremo che porterà il vento essendo ognuno dei “difetti” un piccolo neo all’interno di un gigantesco corpo che ribolle su scala mastodontica.
Non resta che congedarsi da questo ottimo album di questi musicisiti, italiani, semi sconosciuti, parte del’underground, parte del polomone della vera musica Italiana, parte di quel vuoto che deve essere colmato per ricordarci di essere vivi. Le Scimmie hanno del potenziale da dovere trasmettere ed esplorare, se queste sono le premesse il futuro è dalla loro perché a prescindere dal genere, dalla vocalità o strumentalità dei brani, qui c’è ottima musica. Bravi ragazzi.