Recensione: Coma
L’inizio dell’autunno è un periodo incredibilmente fertile per l’arte. Un contraltare perfetto per la stagione in cui le foglie cadono dagli alberi e i prati perdono il colore della vita spolverando di giallo la natura ancora incontaminata, quella lontana dalle città, in cui il tempo viene ancora scandito in maniera differente. Là i suoni sono percepiti più a fondo, tutto sembra avere un’anima e ci permette di assaporare la forma d’arte che più è in grado di toccare il nostro animo di romantici e disincantati scopritori di musica estrema. Già, una sorta di paradosso che però ben si affianca alla proposta musicale dei portoghesi Gaerea, combo black metal che venuti fuori con il capolavoro Unsettling Whispers del 2018 hanno saputo portare avanti un percorso in continua crescita stilistica, mantenendo ben marcata quella connotazione melodica e introspettiva che permea le loro canzoni.
Coma è il quarto capitolo di un percorso artistico assai raro da trovare nel panorama musicale contemporaneo, dove l’assenza di un volto e l’adozione di un anonimato non scadono mai nell’emulazione di altre realtà, perché sopra ogni cosa c’è sempre e comunque la musica, costantemente sorretta da un viaggio lirico che esplora la natura umana, le sue contraddizioni e paure e più semplicisticamente tutto ciò che la rende così maledettamente imperfetta e affascinante. Le canzoni dal minutaggio sempre importante ci guidano così lungo un viaggio nell’anima, un incipit che unisce delicatezza e malinconia, prima di essere spazzato via da una cavalcata selvaggia in cui gli strumentisti senza volto tessono un sottofondo spesso come la roccia, eppure limpido come le cristalline acque di una fonte alla quale nessuno s’è mai abbeverato. Forse la medesima fonte di ispirazione che delinea un percorso abile nel destreggiarsi tra momenti resi più drammatici da linee vocali che si immolano al servizio di un’atmosfera figlia di un black metal maturo e mai fine a se stesso.
I Gaerea, che hanno saputo evolvere il proprio sound riuscendo a impreziosirlo e donando ad ogni lavoro precedente un’entità a sé stante, riescono nell’intento di spostare l’asticella oltre anche in questa occasione. Dopo l’ottima opener The Poet’s Ballet mantengono alta l’attenzione con la sfaccettata Hope Shatters e con l’altrettanto ispirata Suspended, artefice di un crescendo continuo in vista di un finale che ridefinisce la vostra definizione di epicità. Il valore esperienziale di Coma mantiene picchi elevati con World Ablaze: veloce, diretta e chiaramente messa lì per ricanalizzare la concentrazione di un ascoltatore ormai definitivamente avvolto dal vortice Gaerea.
La title-track è forse il capitolo più complesso dell’intero album e questo non tanto per una costruzione particolare o per qualsivoglia artifizio in fase di songwriting, ma perché nella sua brutalità mostra un lato dei Gaerea che solitamente veniva quasi tenuto a bada. Coma è violenza allo stato brado, è il suono di un dolore che va oltre ad una possibile rappresentazione fisica. Ti ammalia e ti lascia stordito. Felicemente stordito. Ed è così che ti rendi conto che appena a metà disco sei innamorato di un altro incredibile lavoro dei portoghesi che sono riusciti a bissare ancora una volta il livello qualitativo al quale ci hanno abituato e che al contempo ci intimorisce pensando che questa fiamma ispirata possa estinguersi. Non con loro, perlomeno non stavolta, perché il qui presente è un disco elaborato, introspettivo, di facile assimilazione per chi cerca un ascolto diretto, ma molto curato per coloro che cercano dettagli in ogni dove, ad ogni strofa, in ogni nota e in quegli arpeggi che sembrano cullarti in un torpore comatoso dal quale questa volta non vorresti mai svegliarti (Wilted Flower).
Continua imperterrito a sorprendere per varietà, vedi per esempio la coincisa Reborn, l’onirica Shapeshifter oppure la più canonica Unknown. Il cerchio si chiude con un epilogo – Kingdom of Thorns – che amplifica ogni percezione provata durante i 50 minuti di ascolto. Coma è un’esperienza musicale di rara e ricercata bellezza e nella sua complicata semplicità centra l’obiettivo di appagare un ascoltatore che sperava in qualcosa di simile, ma che non se lo sarebbe necessariamente atteso. E invece … fantastico.