Recensione: Conquering The Throne
Conquering The Throne, ovvero quando si dice l’unione non
fa la forza. Non bastano a questo disco due nomi illustri del panorama death
metal come Erik Rutan e Doug Cerrito (ex Suffocation), un
bassista preparato come Jared Anderson, e un batterista velocissimo come
Tim Yeung (recente vincitore come “piede più veloce” del Namm
International Fastest Drummer) per riuscire ad affermarsi e farsi ricordare
a lungo. O meglio, le grandi aspettative mosse da nomi così influenti non sono
state ripagate del tutto.
Da musicisti di tale scuola non possiamo che aspettarci un lavoro fedelissimo al
death americano più intransigente, con tutti i cliché del genere espressi nel
migliore dei modi, ovverosia assalti ritmici affilatissimi, drumming
martellante, parti solistiche di buon gusto e tutto quello che di bello potrete
trovare nel brutal death d’oltre oceano. Nulla di nuovo sotto il sole quindi per
la band di Erik Rutan, che abbandonando temporaneamente i maestri
Morbid Angel, si concentra sul suo progetto riproponendo a grandi linee un
death metal fortemente debitore nei confronti di Trey Azagthoth e
compagni, estremizzandone i contenuti in velocità e compattezza del suono. Che i
Morbid Angel siano stati importanti per la crescita musicale degli
Hate Eternal credo sia ormai noto a chiunque abbia avuto a che fare con
questi ultimi, ma se questo non è stato determinante ai fini della valutazione
di un lavoro come
I, Monarch
(la massima espressione -fino ad ora- delle potenzialità della band di Tampa),
in Conquering The Throne viene a essere una pesante spada di
Damocle che grava sulla testa di Rutan, a fronte di un full-length
discontinuo, che alterna frangenti schiacciasassi ad altri molto meno riusciti.
Acerbo nelle soluzioni chitarristiche che si perfezioneranno poi in
King Of All
Kings, ancora troppo slegato e poco personale.
Non ci ritroviamo di fronte ad un brutto disco, sia chiaro, ma l’impressione
che la band non sia riuscita a dare il meglio di sé senza valorizzare
adeguatamente le buone idee espresse mi attanaglia ogni volta che mi addentro in
questi trenta minuti abbondanti di sulfureo brutal death. Ad esempio le premesse
fornite dall’opener Praise Of The Almighty, devastante, perdono
progressivamente convinzione, con una scaletta che offre brani non sempre di
uguale valore (come By His Own Decree e Sacrilege Of Hate), dove anche nei pezzi più riusciti si denotano passaggi meno ispirati e
fin troppo canonici, come in Catacombs o in Darkness By Oath. Non
bastano la velocità frenetica mantenuta per quasi tutta la durata del disco e la
prova eccellente delle due asce Rutan/Cerrito a sostenere un lavoro che
manca di spessore, scevro di quel tocco impercettibile che Rutan ha
saputo dare progressivamente nei due dischi successivi.
Un lavoro comunque meritevole di essere tenuto in considerazione dagli
appassionati del genere, più che altro per apprezzare i notevoli progressi
compiuti da qui in avanti dal leader Erik Rutan sia dietro il microfono
che dietro alla consolle, la cui mano risulta ancora un po’ acerba. Piccole
debolezze gravano sulla valutazione oggettiva del disco, ma che risulta essere
una bella mazzata brutal secondo la migliore tradizione. A voi la scelta.
Stefano Risso
Tracklist:
- Praise Of The Almighty
- Dogma Condemned
- Catacombs
- Nailed To Obscurity
- By His Own Decree
- The Creed Of Chaotic Divinity
- Dethroned
- Sacrilege Of Hate
- Spiritual Holocaust
- Darkness By Oath
- Saturated In Dejection