Recensione: Consequences
I francesi The Oath (da non confondersi con l’omonimo duo doom tedesco, già sciolto, tra l’altro), pur non essendo particolarmente conosciuti dalle nostre parti, sono già al loro quarto lavoro, questo Consequences che esce sull’ultimamente molto attiva Sliptrick Records, etichetta americana sempre a caccia di nuove proposte in tutto il mondo (anche in Italia, basti ricordare gli storici death metallers Gory Blister).
Layout oscuro ed infernale, look sobrio e moderno…non riesce certamente facile farsi un’idea sullo stile dei Transalpini a partire dal cosiddetto “abito”. Meglio così, verrebbe da pensare. Eppure, partendo con l’ascolto, fin da subito ci si rende conto che i dubbi a livello stilistico non riguardano solo le apparenze. Risulta infatti subito difficile inquadrare il pezzo d’apertura Never To Be Seen Again: extreme metal abbastanza classico, voce death su sfuriata black dalle tinte sinfoniche, eppure a metà pezzo c’è un importante stacco con tanto di clean vocals, di quelle tipiche del metalcore più stereotipato. Di solito la opening track è quella con più tiro e che meglio rappresenta l’intero lavoro, ma in questo caso alla fine del pezzo si rimane con qualche dubbio su quello che si ha appena ascoltato. Dubbi che non si sciolgono con la successiva Crimson Flesh: introduzione con tanto di effetti elettronici e avvio marziale, che potrebbe ricordare dei Ramstein più soft; nel suo prosieguo, il pezzo inizia ad alternare tale cadenza con ripartenze melodic black metal, per chiudere con un risultato decisamente scialbo attraverso un assolo più classicheggiante. La title track mostra una maggiore armonia tra le parti e mette in risalto quello che forse i The Oath riescono a fare meglio: un blackened death metal melodico e classicheggiante grazie all’onnipresenza delle tastiere di Romain Devaux, sulla scia degli act scandinavi tanto in voga una decina d’anni fa. Senza scomodare mostri sacri quali Mikael Stanne & Co., Silent Dreams scorre via decisamente meglio, battezzata da una linea melodica davvero azzeccata e da una decisamente migliore costruzione del pezzo. E’ forse quindi opportuno che la band di Lione abbandoni velleità moderniste (poi nemmeno riuscite) e costruisca la propria musica su tale approccio più classico. Si prosegue senza particolari sussulti e si arriva velocemente alla seconda parte dell’album: dopo una Today I Die più standard e che si mette in evidenza più che altro solo per l’assolo finale, con Create The Infinite i The Oath si allineano definitivamente su canoni marcatamente swedish e la cosa non dispiace (tipiche le accelerazioni di scuola Dark Tranquillity, ancora loro); si prosegue e si arriva alla fine, sempre nell’alternanza tra melodeath, sfuriate in blast beat e stacchi melodici in un contesto forse leggermente più armonico e lineare rispetto alla prima parte del lavoro.
Niente da fare, questo Consequences non ha particolarmente impressionato: oltre ad un evidente problema stilistico (i The Oath devono capire se rimanere ancorati ad un extreme metal melodico oppure lanciarsi definitivamente nella modernità), il lavoro oggetto della presente analisi a parere di chi scrive presenta marcate lacune in fase di scrittura e arrangiamento: nel momento in cui il rifferama non è particolarmente vario (specialmente nella prima parte del cd), sarebbe probabilmente da mettere meglio in evidenza il lavoro dei solisti (chitarra e tastiere). In una scena che oramai presenta un’offerta certamente superiore alla reale domanda di musica, non è sufficiente un album ben confezionato e prodotto per impressionare davvero: serve quella scintilla che questo Consequences davvero non sembra possedere.
Vittorio “Vittorio” Cafiero