Recensione: Constantine
Una copertina che proprio non mi sentirei di definire sobria (e che rievoca in modo neanche troppo velato la locandina di una celebre serie tv conclusasi un paio d’anni fa) introduce “Constantine”, secondo album degli inglesi Sorceress of Sin, che per la verità è sugli scaffali dei negozi già da un paio di mesetti. Il giovane quintetto, ufficialmente sulle scene solo da un anno, propone un power solido e roccioso screziato da un’agguerrita attitudine heavy incarnata alla perfezione dal vocione acido e sfacciato della bellicosa Lisa. Nove tracce per un’ora di musica, durante la quale i nostri cinque britanni spaziano da tracce veloci e graffianti a inni dall’intenso afflato epico dispensando determinazione e tanta voglia di fare. Per la verità, avendo a che fare con minutaggi importanti – la durata media delle canzoni di questo “Constantine” si attesta sui sette minuti scarsi – va detto che non sempre i nostri sembrano trovarsi a proprio agio. In alcune occasioni, infatti, si fa largo il sospetto che i Sorceress of Sin allunghino un po’ il brodo perché non perfettamente consapevoli di dove vogliano andare a parare, perdendo così un po’ di presa. Emblematica in questo senso la traccia di apertura, “Necropolis”: un crescendo continuo, ostinato ma anche piuttosto ripetitivo che, se da un lato si pone subito come dichiarazione d’intenti del quintetto e offre il destro a Lisa per una sua prima sfilata vocale, dall’altro rischia con la sua staticità programmatica di essere percepita come un’intro di otto minuti. Va meglio con “Massacre of Meridian”, cavalcata propositiva in odor di NWOBHM: l’andamento agile e il breve rallentamento che apre l’ultimo quarto per pompare pathos permettono alla traccia di giocherellare agevolmente con le sue diverse consistenze e smarcarsi dall’azzardo della traccia precedente. Niente male, ma è con la successiva “Realms of Elysium” che i nostri calano il carico da undici: lo spiccato retrogusto manowariano dell’incipit, che tornerà prepotente anche nell’intermezzo centrale screziato di Nightwish e nel finale nuovamente rombante, alza il sipario su una traccia dalla forza propulsiva notevolissima, arrogante e carica a palla di fuoco. L’incedere coatto spazza via il sentore di ruffianata e ci consegna il primo vero centro dell’album, in cui ogni elemento è al posto giusto. Un’apertura aggressiva condita da voci effettate introduce “Pathogenic Parasite”, altro pezzo dai ritmi agili in cui al solito cantato arcigno e sguaiato Lisa affianca un’impostazione più liricheggiante. Questa alternanza non sempre centra l’obiettivo ma costituisce una piacevole parentesi che, alla fine, non stona troppo col tiro dinamico del pezzo. “Until the Dawn” sembra tirare il freno di colpo e dedicarsi a un incedere solenne, incombente, marziale, punteggiato da sporadiche accelerazioni per mescolare solennità e carica sanguigna. Anche qui, come altrove, mentre nei momenti più tirati il profumo di NWOBHM riempie le narici, lo spettro di deMaio&C. aleggia sui segmenti più solenni, ma va dato atto ai Sorceress of Sin di aver amalgamato le proprie influenze in modo intelligente. Purtroppo, anche in questo caso la durata del pezzo rischia di risultare un’arma a doppio taglio, poiché se è vero che i nostri stavolta reggono abbastanza bene, ritengo altresì che grattar via due minuti o giù di lì avrebbe giovato molto alla fruibilità della traccia. L’arpeggio rilassato di “Dimension IV” ci dice che siamo arrivati al momento ballata: tempi distesi, melodie compassate ed improvvise esplosioni di pathos struggente durante il ritornello. Ok, gli elementi ci sono tutti e sono tutti esattamente dove ci si aspetta, ma nonostante il notevole tasso di prevedibilità il brano non mi è dispiaciuto. Certo, non ci sono particolari guizzi, ma le emozioni ci sono e vengono anche gestite in modo adeguato. Ritmi più sbarazzini aprono la diretta “Erratica”, che sembra fatta apposta per fomentare gli animi ed offrire una salutare sferzata di sfacciataggine dopo l’iniezione di saccarosio della traccia precedente ma, in ultima analisi, non aggiunge granché a quanto sentito finora. Si torna al metallo arcigno con “Adira”, marcia sulfurea scandita da una base ritmica incombente che si alleggerisce in corrispondenza del ritornello, in cui entra in scena un certo trionfalismo a stemperare la minacciosità della strofa. Chiude l’album la lunga title track di quasi dodici minuti, che il quintetto inglese sfrutta per sparare i botti finali. Le orchestrazioni tornano a profumare il brano con la loro maestà, affiancando le chitarre in un lungo crescendo che si interrompe con l’arrivo del rallentamento centrale più delicato, in cui Lisa mette da parte la sua rabbia vocale. L’intermezzo cede il posto al solo che, infine, guida l’ascoltatore al climax finale maestoso, il cui ultimo strascico corona degnamente un album che per molti versi mi ha piacevolmente sorpreso.
Pur non inventando nulla, “Constantine” tiene alto il tasso d’interesse grazie a un piglio deciso e a una struttura solida e di qualità, ottimamente supportata da buon gusto e una produzione più che all’altezza, soprattutto considerando che si tratta di un’autoproduzione. I Sorceress of Sin sono a mio avviso un gruppo da tenere d’occhio: nonostante un po’ di grasso superfluo in eccesso che spero venga limato con i prossimi lavori e una certa prevedibilità latente (ma su cui si può soprassedere concedendo una certa dose di tolleranza al gruppo, relativamente giovane) mi sento di consigliare “Constantine” a tutti i cultori del power più agguerrito e sanguigno, che sono certo troveranno pane per i propri denti.